La sentenza sul processo Mills (la cui formula, “prosciolto per prescrizione”, è di per sé poco chiara: è colpevole, innocente, non è possibile stabilirlo o è inutile farlo?) ha diviso l’Italia in due fazioni, come troppo spesso accade.
Questo è un problema e lo è perché sarebbe accaduto in ogni caso. Se Berlusconi fosse stato dichiarato colpevole, i berlusconiani avrebbero parlato di sentenza già scritta, tutti gli altri avrebbero detto che finalmente era stata fatta giustizia. Oggi, a prescindere dal dispositivo e dalle motivazioni della sentenza (le conosceremo tra 90 giorni) il Paese è diviso tra chi ritiene che oggi la magistratura politica ha perso per l’ennesima volta e chi pensa, invece, che Berlusconi ha nuovamente aggirato la legge. A queste due fazioni bisogna aggiungerne una terza, purtroppo in forte crescita: gli italiani oramai disillusi e disinteressati alla vicenda.
Perché siamo arrivati a questo punto? La mia idea è che quella parte del ceto politico, culturale e sociale che si è opposto a Berlusconi in questi anni abbia abdicato da tempo alla lotta politica. Ha ceduto all’egemonia culturale del berlusconismo. Si è arresa o peggio, ha accettato il compromesso. Ha preferito perdere dignitosamente. Ha deciso che era meglio affidarsi ai giudici e alle loro sentenze per andare oltre questa stagione, ha ritenuto che così ci sarebbero state più speranze di battere l’avversario.
Il comportamento dell’ex premier di questi anni ha ulteriormente rinforzato questa strategia. Il suo terrore apparente nei confronti della giustiiza ha autorizzato un po’ tutti a pensare che se Berlusconi ha così tanta paura dei giudici è perché sa di essere colpevole.
Questo atteggiamento rappresenta però un’impostazione contraria a ciò che si è sostenuto in tutti questi anni: l’indipendenza tra politica e magistratura, enunciata (giustamente) come un valore da parte dei politici di centrosinistra, non è stata poi perseguita nella strategia. Questa rinuncia alla lotta politica ha autorizzato Berlusconi a far coincidere i due poteri dello Stato nella sua personale narrazione. La difesa dall’opposizione è stata la difesa dalla giustizia, dato che l’opposizione ha sperato nella giustizia. La sinistra, nel suo costante evocare i processi, è stata più berlusconiana di ciò che avrebbe voluto.
È giusto sperare in una giustizia giusta. Ma non è giusto farne l’unico cavallo di battaglia. ‘Berlusconi ha fallito come statista‘ è un’affermazione con un grado di oggettività e condivisione certamente maggiore rispetto a ‘Berlusconi è colpevole’. La prima frase, peraltro, appartiene all’analisi politica, la seconda alla sfera giudiziaria: nel primo caso è giusto e legittimo lottare, nel secondo bisogna aspettare e rispettare le sentenze.
Se da sinistra sono state chieste le dimissioni di Berlusconi a cadenza quotidiana per il caso Ruby e non è stata spesa la stessa indignazione e rabbia per evidenziare il fallimento del suo progetto politico (le tasse, la crescita, la libertà, le riforme, la modernizzazione, solo per elencare i cinque terreni principali dove Berlusconi ha perso), la responsabilità è del centrosinistra, di certo non di Berlusconi.
La reazione tendenzialmente depressiva al superamento di uno scoglio giudiziario da parte di Berlusconi non riguarda solo l’idea che non sia stata fatta giustizia, altrimenti dovremmo reagire allo stesso modo, tutti i giorni, per tutte le sentenze che ci sembrano ingiuste. Se si reagisce così male è perché sappiamo che a livello politico la sinistra non ha saputo offrire una narrazione alternativa e migliore in questi 17 anni e perché ci siamo convinti che solo le sentenze, di fatto, possono mandare al tappeto Berlusconi in via definitiva.
Il centrodestra va sconfitto sul piano culturale e questo valeva ieri, vale oggi e varrà anche domani. Anche se fosse stato colpevole, la vita di Berlusconi nella sostanza non sarebbe cambiata. Era una sentenza di primo grado. L’unico cambiamento sarebbe stato relativo alla percezione che la giustizia, in Italia, possa fare davvero il suo corso. Anche in questo caso, però, si parla di cambimenti culturali più che politico/formali.
Da oggi (in realtà dal 1994) dobbiamo rispondere ad altre domande: siamo in grado di dimostrare che è meglio rispettare la legge che provare ad aggirarla? Siamo in grado di dimostrare che pagare le tasse aiuti tutti a stare meglio? Possiamo convincere che pagare il medico per saltare la lista d’attesa non sia accettabile, mentre denunciare quel tipo di comportamento lo è? Siamo in grado di dire che è meglio chiedere la fattura all’idraulico pagando il 20, 30% in più per la prestazione rispetto a evadere il fisco? Siamo in grado di sostenere che il bunga bunga non può essere un efficace sistema di selezione della classe dirigente, mentre i concorsi pubblici lo sono? Siamo in grado di dire che i politici di sinistra siano più bravi, più onesti, più preparati di quelli di destra? O possiamo solo evocare la giustizia, ancora una volta, come via politica alla risposta a queste domande, rimanendo bloccati a vita nel meccanismo in cui Berlusconi ha fatto precipitare tutto il Paese per cui la giustizia decide e la giustizia quasi sempre decide politicamente?
Fino a quando non si saprà rispondere a queste domande in modo convincente, finché gli italiani non saranno convinti che queste abitudini siano cattive, la sconfitta della sinistra sarà culturale e politica. E non ci sarà sentenza che sia in grado di modificare le cose.