Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Mario Pescante sul mio articolo del 15 febbraio, a cui segue la mia risposta.
Caro Direttore,
salto sportivamente la solita premessa accattivante dichiarandomi attento lettore del Suo giornale; conoscendoLa da tempo Le rinnovo la mia stima e conto su questa per chederLe quell’ospitalità che considererà doverosa per una replica personale all’articolo che il dr. Travaglio ha voluto riservarmi, lo scorso 15 febbraio, a commento della mancata candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2020.
Ci sono molte motivazioni dietro questa scelta del Governo che da cittadino posso comprendere ma che mi pare rappresenti un sacrificio chiesto allo sport nell’interesse del Paese e una politica di rigore che, oltre a imporre sacrifici agli italiani, li colpisce anche nei sentimenti di quanti sognavano un’Olimpiade e le sue prospettive: di fiducia, di occupazione, di crescita, di rilancio.
Avrà notato, come ho fatto io, che la tesi del presidente Monti, pur riscuotendo la maggioranza dei consensi nei commenti pubblicati, non è stata supportata da un eccesso di qualunquismo, approssimazione, disinformazione, luoghi comuni che invece sono il territorio del commento di Travaglio che così sintetizzerei: è stato proibito al Comitato del “magna magna” (quanta originalità!) di apparecchiare la tavola dell’abbuffata. E ha attribuito a me, tra i commensali, un particolare ruolo.
Devo dirlLe che in linea di massima non sono un fan del “giornalismo alla Travaglio”, però devo anche dirLe che gli interventi di Travaglio, per quanto volutamente faziosi, sono assai spesso ben documentati. Stavolta no. Non so se le parole sciatteria, disinformazione e simili siano da considerarsi offensive, ma il concetto è quello. Escludo naturalmente la malafede, perché alcune approssimazioni erano davvero a portata di clic: la fretta, dunque? Il sentito dire diventato verità assoluta?
Perché vede, caro Direttore, per quanto riguarda i mondiali di calcio di Italia ´90 e gli interventi sugli stadi, si dà il caso che oltre a non essere stato ai vertici dello sport dell’epoca, non ho svolto alcun ruolo. E comunque vorrei segnalare che gli interventi sugli stadi furono previsti da una legge dello Stato e furono messi in opera non da dirigenti sportivi, ma da autorità e funzionari pubblici. Così come, per inciso, è avvenuto per i recenti Mondiali di nuoto. Comunque per quanto riguarda il mio eventuale “omesso controllo” per i “fatti del `90”, tengo a precisare che fui eletto Presidente del Coni tre anni dopo l’evento, nel 1993.
In particolare per quanto riguarda i costi dello Stadio Olimpico, come è stato accertato dalla Magistratura (Travaglio ha un buon accesso agli atti) i lavori sono stati eseguiti prima del ´90 e i costi stessi sono dovuti al rispetto di norme ambientali per la copertura dell’impianto.
Veniamo al cosiddetto (e a rigore di sentenza presunto) scandalo del Laboratorio Antidoping di Roma. Il pubblico ministero non era Guariniello che non si è mai occupato della vicenda, ma questo non cambia la sostanza delle cose. L´imputazione non consisteva, come con molta fantasia ha indicato Travaglio, nella “distruzione di provette” ma nel mancato esame di alcune sostanze dopanti che non venivano ricercate nei campioni da analizzare, in quanto i tecnici della Federcalcio ritenevano che quelle sostanze non fossero in uso nel calcio perché controindicate per le prestazioni dei giocatori. Facemmo un´indagine interna, da me voluta, che portò all´adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti del responsabile del laboratorio, dr. Gasbarrone. A questo riguardo vorrei segnalare che gli accertamenti predisposti dalla Magistratura non produssero alcunché e il procedimento si esaurì in fase istruttoria con il proscioglimento di tutti gli imputati e il sottoscritto non fu mai ascoltato dal pm neppure come persona informata sui fatti.
Vorrei esser chiaro al riguardo: l’allora ministro vigilante sullo sport istituì una Commissione governativa la quale, non avendo rilevato come del resto la Magistratura, responsabilità precise, concluse i suoi lavori preconizzando una… riforma del Coni! Dopo più di un decennio non ho intenzione di rivangare questa vicenda assolutamente strumentale e strumentata. Ricordo solo che mi dimisi da presidente del Coni ritenendo che sgombrando il campo (questo era l’obiettivo), avrei evitato un sopruso ai danni dell’Ente sportivo che infatti, dopo le mie dimissioni, ha potuto continuare in autonomia la sua attività.
Per quanto riguarda il mio curriculum politico, credo che si fondano insieme, nel ricostruirlo, commenti livorosi e inesattezze che Le indico puntualmente. Mi si definisce, in origine, persona vicina ai Ds: nulla da eccepire e non sarebbe offensivo, ma semplicemente non è vero. Mi sono sempre occupato di sport e quando sono entrato in politica nel 2001 non sono diventato parlamentare di An come riferisce Travaglio (nulla da eccepire e non sarebbe un’offesa) ma sono stato eletto nelle liste di Forza Italia: non ci voleva molto ad accertarsene.
E del mio “riciclaggio dal Cio” segnalerei che dopo mezzo secolo dedicato allo sport sono stato nominato membro del Comitato Internazionale Olimpico nella sessione del 1994 a Parigi, nominato nell’Esecutivo durante i Giochi di Torino 2006 e infine eletto vicepresidente nel 2009 a Copenaghen, primo italiano a essere chiamato a quella carica. L’anno successivo sono stato nominato osservatore permanente presso l’Onu in rappresentanza del Cio. Un po’ di meritocrazia ci sarà pure nell’avere questi “incarichi gratuiti” e non penso che si possa riassumere il tutto in una operazione di riciclaggio.
Mi scusi, caro Direttore, se mi sono dilungato: ma nel chiederLe un ripristino della verità, dopo aver letto la mia storia riscritta tra sciatterie e falsità, era mio compito raccontarLe compiutamente i fatti, a tutela della mia immagine. Non le chiedo la rettifica ai sensi di legge, eccetera eccetera: Lei conosce il mio passato e il mio presente, io conosco la Sua disponibilità; Le chiedo di restituirmi quel che mi è stato tolto dall’articolo del dr. Travaglio.
Cordiali saluti.
On.le Mario Pescante
La mia risposta:
L’on.le Mario Pescante è svelto, e dunque ha perfettamente capito il senso del mio articolo: il no di Monti alle Olimpiadi di Roma 2020 ci ha risparmiato il solito “magna magna”. Mi scuso per la scarsa originalità, ma quando l’On.le e quanti come lui siedono ai vertici dello sport italiano da 40 anni saranno finalmente andati in pensione, proverò a essere più originale.
Per il resto, l’unico errore che l’On.le riesce a rettificare nella sua chilometrica lettera è che non è stato eletto con An, ma con Forza Italia, a riprova del fatto che di un politico non si pensa mai abbastanza male. Peraltro allora Forza Italia era alleata di An e ora s’è fusa con An (sai che “sciatteria”, che “falsità” e che “disinformazione”). Non so se, nelle varie abboffate dei grandi eventi “sportivi”, l’On.le abbia mai svolto il ruolo di “commensale”: infatti non l’ho scritto e dunque non vedo di che si lagni l’On.le. Il quale “salta sportivamente” troppe cose.
Per esempio, a proposito dei leggendari mondiali di calcio di Italia ’90, che ci costarono in stadi nuovi o “ristrutturati” la bellezza di 1.000 miliardi di lire: l’On.le assicura di “non essere stato ai vertici dello sport dell’epoca” e di non avere “svolto alcun ruolo”. Ma si sottovaluta: all’epoca era segretario generale del Coni (dal 1973!) e si occupava attivamente della faccenda. L’archivio Ansa del 1988-1990 lo dipinge attivissimo sugli stadi: faceva sopralluoghi, incontrava autorità di governo locale e nazionale, rassicurava commissioni di inchiesta, sollecitava autorizzazioni e decisioni.
Lo disse lui stesso nel 1992 davanti ai magistrati che l’avevano perquisito e indagato per abuso d’ufficio (e poi archiviato): “Scrissi ai responsabili dei Beni Culturali e alla Soprintendenzaa, sollecitando l’ultima autorizzazione di loro competenza, necessaria per avviare i lavori (allo stadio Olimpico di Roma, ndr). Si era ormai a due anni e due mesi dall’inizio del Mondiale di calcio e se non si fossero cominciati subito i lavori, la manifestazione sarebbe saltata”. Per la cronaca, quei lavori all’Olimpico, da un preventivo di 80 miliardi, lievitarono a un costo finale di 206. Complimenti vivissimi.
Quanto poi allo scandalo del laboratorio antidoping (si fa per dire) del Coni all’Acquacetosa, esploso nell’estate del 1998 quando Pescante era presidente del Coni, non è né “cosiddetto” né “presunto”. La circostanza che la magistratura romana non abbia ravvisato reati non cancella i fatti. Ma forse l’On.le ha bisogno di una rinfrescatina alla memoria.
Intanto non è vero che il pm Guariniello “non si è mai occupato della vicenda”: fu proprio lui a scoprirla con la famosa perquisizione di agosto a Roma. A proposito della mia “molta fantasia”: Guariniello interrogò dirigenti e tecnici del laboratorio antidoping (questo sì presunto e cosiddetto) e scoprì che in base alle norme Coni e Cio tutte le provette con i campioni delle urine sorteggiati e prelevati ogni domenica su tutti i campi dei vari campionati professionistici avrebbero dovuto essere analizzati, alla ricerca di tutte le sostanze vietate dalla lista nera del Coni (e del Cio); invece – almeno per il calcio – certe sostanze, come l’ormone della crescita, non venivano neanche cercate; altre, come gli anabolizzanti, erano cercate solo sul 10-20 per cento delle provette, i diuretici (che “coprono” gli steroidi) solo sul 5 per cento. Le altre –l’ho scritto e lo confermo– venivano “distrutte”, cioè cestinate.
Pescante assicura che non fu “mai ascoltato dal pm neppure come persona informata sui fatti”. Che strano: il 24 agosto 1998 dalle 11 alle 13 e poi di nuovo il 5 settembre per un’altra ora e mezza, un certo Mario Pescante, presidente del Coni, veniva ascoltato dal pm Guariniello come persona informata sui fatti. “Gli accertamenti predisposti dalla Magistratura non produssero alcunché”? Che strano: il Cio chiuse il laboratorio del Coni per un paio d’anni, affidando le analisi antidoping degli atleti italiani a laboratori esteri, dove guardacaso i casi di doping cominciarono a fioccare copiosi.
Il 15 ottobre la commissione ministeriale presieduta da Carlo Federico Grosso sullo scandalo del laboratorio concluse i suoi lavori stabilendo che: “’C’è stata, da parte del Coni, omissione di controlli idonei a impedire che essi si verificassero”. L’aveva ammesso lo stesso Pescante davanti al consiglio nazionale del Coni, attribuendosi un “eccesso di fiducia”. “Eccesso di fiducia nei confronti di istituzioni e persone che non la meritavano è sintomo – scrisse la commissione – di quella ‘culpa in vigilando’ che è stata prospettata”. Dunque il Coni di Pescante “è venuto meno ad un suo naturale potere-dovere istituzionale di controllo sull’attività delle federazioni sportive, in particolare della Fmsi e della Figc”.
Infatti Pescante, in seguito a quello scandalo tutt’altro che presunto, si dimise: cosa che, se tutto fosse stato regolare, non avrebbe certo fatto. Poi, passata ‘a nuttata, fu promosso in Parlamento, al governo, alla Luiss, al Cio, all’Onu, a Torino 2006, su su fino al Comitato Roma 2020. Mi mancavano le parole per definire il prodigioso ripescaggio di Pescante. Ma per fortuna me le ha suggerite lui stesso: “meritocrazia”. Ecco il termine esatto: meritocrazia.