Il tribunale di Verona ha disposto l’invio alla Corte costituzionale affinché valuti la legittimità costituzionale del decreto che nel 2010 aveva di fatto eliminato il reato di associazione a carattere militare con finalità politiche. E’ l'unica ipotesi d’accusa nel processo e riguarda 36 persone. Gli imputati protestano: "Tempi inaccettabili"
L’inchiesta è iniziata circa sedici anni fa, per volontà dell’allora procuratore di Verona Guido Papalia, che aveva cercato di fare luce sulla Guardia nazionale padana, mosso dalla volontà di capire se quell’organizzazione avesse finalità contrarie alla legge (come la lotta contro lo Stato). Per arrivare a discutere il caso in un’aula di tribunale si è dovuto attendere fino al 2010, perché nel frattempo contro il processo è stata ingaggiata una lotta senza esclusione di colpi, con continue richieste di pronunciamenti a Camera e Senato, al parlamento di Strasburgo e alla Corte Costituzionale. Escamotage della difesa per prendere tempo e lavorare sull’abrogazione delle leggi o sulla depenalizzazione dei reati di cui erano accusati i trentasei leghisti. La legge relativa all’ultima ipotesi d’accusa che restava ancora aperta sul conto degli imputati è stata abrogata con due norme successive promosse dall’ex ministro Calderoli. Ed è proprio sulla costituzionalità di queste ultime che il pm Barbaglio ha chiesto di interpellare la Consulta. “La questione non è semplice – ha spiegato Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese e avvocato difensore delle camicie verdi -, in sostanza il pm ha chiesto di rimandare tutto alla Corte Costituzionale, che aveva già valutato la questione in occasione di un precedente rinvio. Ma in un primo momento si era espressa sul decreto legislativo 66 del 2010, mentre oggi il pm ha chiesto di rinviare per valutare la costituzionalità del decreto legislativo 213 del 2010. In questo momento ci sono due decreti che abrogano la stessa legge, essendo valido e riconosciuto il primo, secondo noi non c’era bisogno di valutare anche il secondo. Il tribunale in maniera forse un po’ maliziosa ha deciso invece di rinviare il 213 e il 66, secondo noi in questo c’è un po’ di accanimento terapeutico. Ora dovremo aspettare un anno e mezzo, ammesso che tutto vada bene, più i tempi dell’attività istruttoria. Diciamo che è un po’ una vergogna che si debba aspettare tutto questo tempo per arrivare ad una sentenza, ci sono gli estremi per un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea”.
Tra gli imputati in questo processo figurano nomi noti del panorama leghista: da Giampaolo Gobbo a Matteo Bragantini passando per Enzo Flego e Marco Formetini, con loro tanti altri: “La persecuzione politica continua – ha commentato l’imputato varesino Stefano Cavallin -. È una vergogna! Ora intendo denunciare lo stato italiano per questa persecuzione. Chiederò un milione per ognuno dei 16 anni di sofferenze che mi hanno fatto patire”.