Irriverente, ribelle e fuori dall’ordinario. La storica banda Roncati di Bologna quest’anno festeggia il suo ventesimo compleanno e celebra una tradizione che nelle stradine medievali della Dotta è ormai nota e apprezzata. Una tradizione nata nel lontano 1992 durante un’incursione in un ospedale psichiatrico cittadino, da cui la banda ha successivamente preso il nome, fatta di exploit musicali suonati da pochi, una decina o addirittura quaranta musicisti eterogenei e autogestiti. Senza direttore, singolo compositore o arrangiatore. Senza risorse né una base fissa. Senza nemmeno un ordine preciso negli strumenti, tantissimi, dalla tromba al tamburo, dal flauto traverso alla voce, dal sassofono all’elicone. Una miscellanea originale e un po’ folle che cattura l’attenzione con una ritmicità avvincente e poi racconta una storia, una società spesso triste, difficile.
“La banda Roncati, che quest’anno celebra il suo ventennale, è prima di tutto un gruppo autogestito collettivamente che tramite la musica vuole trasmettere un messaggio” spiegano i musicisti, riuniti alla Montagnola per aprire i festeggiamenti che andranno avanti fino a giugno. “Siamo una realtà intergenerazionale, priva di identikit, che vuole portare avanti un impegno sociale ereditato da chi l’ha fondata, anni fa, e che nel tempo l’ha mantenuta in vita. Da tante persone che si sono unite a noi, rinnovandola e permettendole di esistere”.
Volti e identità volontarie, come i dj che hanno animato il compleanno della banda, amalgamate in un motley crue unico e compatto che sin dalla sua nascita ha scelto la musica come strumento di lotta, di manifestazione sociale, di megafono al servizio delle classi più deboli e meno rappresentate. Che ha scelto come palcoscenico le battaglie dei lavoratori, i movimenti studenteschi, le proteste dei precari e gli appelli di coloro che vivono in quotidiane situazioni di disagio. Che ha eletto a teatro la strada, spesso festosamente invasa attraverso popolari blitz di musica e colore, che negli anni le sono valsi notorietà e rispetto da parte dei bolognesi, ma non solo.
“Gli abitanti di questa città ci apprezzano, anche quelli che non ci conoscono, e ci invitano molto spesso a suonare in giro per Bologna, magari anche in situazioni formali, stravaganti rispetto al nostro modo di essere e al nostro percorso un po’ fuori dalle righe – racconta Daniela, nella banda da 16 anni – e nel tempo abbiamo iniziato a viaggiare anche all’estero, al di fuori dell’Italia che percorriamo periodicamente e con entusiasmo. Ormai possiamo dire di aver suonato un po’ dappertutto”.
A Boston, a Montpellier, alla Brown University e persino nella celebre Harvard la banda è stata invitata. Un incontro voluto dalla dirigenza del più antico ateneo americano per raccontare a tutti gli studenti italiani iscritti e lontani da casa, la lunga storia di un simbolo. Nato in un piccolo contesto cittadino ma divenuto importante per molti.
Noto ormai in tutta Italia per quelle tappe fondamentali susseguitesi nel tempo, a Milano, per l’anniversario della Liberazione, a Bologna, per la vittoria dei quattro ‘sì’ di giugno, il Primo maggio con i lavoratori. E ancora con gli immigrati, i gay, i clochard, gli ecologisti e gli animalisti. Davanti ai dormitori, ai rifugi, alle carceri. Tante esibizioni per altrettante battaglie che in questi vent’anni hanno trasformato la banda Roncati in un baluardo bolognese da preservare e promuovere.
“Il desiderio che esprimiamo noi della banda, spegnendo queste venti candeline, è che la Roncati possa resistere altri vent’anni così com’è – spiegano i musicisti, alcuni veterani, altri giunti da poco – senza alcuna base solida eppure capace di sopravvivere grazie alle relazioni che si sono instaurate tra le persone, tra noi musicisti e poi con tutti coloro che ci ascoltano suonare”.