È di questi giorni – finalmente – la notizia dell’imminente uscita del decreto che taglierà definitivamente i compensi dei “Paperoni” di Stato, fissando il tetto massimo dello stipendio complessivo a 294 mila euro.

Direi che potrebbe bastare, considerando che ci  sono milioni di pensionati costretti a vivere con poche centinaia di euro al mese.

È importante, però, che questi tetti massimi siano onnicomprensivi. Vi è il rischio, infatti, che interpretazioni “generose” escludano dal computo una parte dei redditi.

Un esempio di categoria a rischio è quello degli Avvocati dello Stato, i soggetti preposti alla difesa dello Stato nelle cause giudiziarie e alla correlata attività di consulenza. Infatti, questi pochi, privilegiati, dipendenti pubblici (meno di 400) cumulano oltre allo stipendio da magistrato (e magistrati non sono) anche le cosiddette “propine”, cioè gli onorari per le cause vinte, come ho già descritto in un altro post, superando talvolta il tetto dei 294 mila.

Oltre a questo, nonostante un grido di preoccupazione dell’Avvocato generale dello Stato per la carenza di organico e la difficoltà di smaltire tutto il lavoro (in una lettera indirizzata proprio a ilfattoquotidiano.it e riportata in calce ad un mio post), gli avvocati dello Stato assumono sovente anche ben pagati incarichi extra, talvolta addirittura fuori ruolo. In sostanza due o anche tre entrate diverse.

E allora, sarebbe bene che – evitando interpretazioni favorevoli – il tetto massimo stabilito per gli stipendi comprenda qualunque tipo di introito degli Avvocati dello Stato, propine ed incarichi compresi: è giusto, in questo drammatico momento, che anche tale categoria dia il suo contributo.

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