Fra pensionamenti dilazionati nel tempo e ventilata abolizione dell’articolo 18, quelli che rischiano davvero di andare a spasso (ma non per diletto) sono in cinquantenni.
C’è chi mostra entusiasmo alla prospettiva dei licenziamenti senza problemi di lavoratori considerati non più efficienti. Le imprese, a parte la possibilità di eliminare i lavoratori di tutte le età considerati un problema per le loro contestazioni o per la mancata volontà di adeguarsi supinamente ai desiderata della dirigenza (come nel caso dei giornalisti che rifiutino i condizionamenti) vedrebbero di buon occhio la sostituzione con novellini al primo stipendio e privi di esigenze familiari di lavoratori con retribuzioni più elevate causa l’anzianità (soprattutto per i lavori meno qualificati, che non richiedono investimenti nella formazione). Ma anche molti giovani di 25-30 anni vedono con favore la possibilità di prendere il loro posto.
C’è invece chi teme l’ondata di licenziamenti per persone che, stante l’allungamento dei tempi minimi per i pensionamento, si troveranno impossibilitate ad ovviare alla prospettiva di restare in mezzo ad una strada, dato che soltanto per alcuni di loro con professionalità di un certo livello si potrebbero aprire nuove prospettive. In questo caso a rimetterci saranno altri giovani, i ragazzi di 15-20 anni, figli appunto dei cinquantenni, e che stanno ancora studiando per prepararsi al mondo del lavoro.
E’ ovvio che i ragazzi di famiglie molto agiate non avranno problemi a continuare gli studi anche fino al master, il problema sarà per gli altri, quelli cui lo stipendio dei genitori, pur modesto, poteva garantire la copertura delle spese fino al termine degli studi e quindi il salto di qualità. Insomma, non una competizione giovani-“vecchi”, ma fra giovani di generazioni diverse, i primi dei quali hanno avuto tutto l’agio di studiare prima che i loro genitori andassero in pensione.
Anche in Germania, dove l’età pensionabile sta per passare da 65 a 67 anni, si sono accorti del problema cinquantenni, tanto che la ministra del lavoro, Ursula von der Leyen – casalinga madre di 7 figli – ha fatto appello alle imprese perché assumano più cinquantenni, forte di uno studio del Centro per la ricerca economica europea che ha confutato l’idea che i lavoratori più giovani siano generalmente più efficienti rispetto a quelli anziani, causa le maggiori risorse di esperienza e maggior fressibilità nonchè la minore volontà competitiva dei 45-50enni.
Il fatto tuttavia che il ministro abbia dovuto lanciare tale appello già ora che l’età pensionabile non è ancora cresciuta la dice lunga sulla realtà della situazione. Fra l’altro, il ministero del lavoro tedesco si sta trovando a dover fronteggiare un altra questione legata all’aumento dell’età pensionabile, che è quella dei problemi psicologici dei lavoratori ultrasessantenni, sempre più in burn-out, cioè estenuati da un lavoro ormai troppo pesante per loro, aspetto che influisce soprattutto sui tenere il lavoratore fino ad età avanzata.
In Italia, in merito ai problemi psicologici, in caso di abolizione dell’articolo 18 andrebbero considerati gli effetti sociali dell’impatto psicologico del licenziamento in età lavorativa, impatto già noto oggi per quanti non godono della protezione dell’art 18 o provengono da imprese chiuse non riuscendo a riciclarsi nel mondo del lavoro, ma che non costituisce ancora una piaga sociale come avverrebbe estedendo la libertà di licenziamento senza giusta causa a tutte le imprese.