La quarta di copertina di Scampia trip (Ad est dell’equatore, 2010) sintetizza perfettamente #OccupyScampia:

«Nella città delle emergenze, Scampia esiste solo quando ci sono i morti ammazzati. A farla esistere è l’occhio superficiale, distorto e spesso criminale dei media, che speculano e abusano dei soliti luoghi comuni e simboli di degrado per poi puntualmente lasciarla ricadere nell’oblio; mentre delle innumerevoli associazioni, gruppi di volontariato e centri culturali che ogni giorno lavorano nel territorio per migliorarne le condizioni si ignora persino l’esistenza».

Per la storia del coprifuoco a Scampia ci hanno chiamato in tanti, chi per convincerci dell’occasione di una possibile “rivoluzione” e chi per assicurarci della buona fede dell’onorevole Pina Picierno che ha lanciato il tweet provocatorio: #OccupyScampia. Non vogliamo mettere in dubbio la buona fede della Picierno ma una cosa è certa non si può occupare un luogo senza che lo sappiano almeno le associazioni del posto, quelle che ogni giorno lavorano per migliorare le condizioni del quartiere e che a Scampia sono veramente tante: Gridas, Mammut, (R)esistenza, Chi rom e chi no, Vo.di.sca.

Innumerevoli giornali e radio, ci hanno contattato per sapere cosa stesse accadendo, ed era ormai impossibile frenare l’entusiasmo di questa bufala mediatica che oltre a regalare, a qualcuno, il suo quarto d’ora di celebrità è servita veramente a poco; per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno non rispondere. A cascarci sono stati davvero in tanti. Prima dell’annunciato e prevedibile flop della manifestazione sono arrivate le scuse degli organizzatori e così, solo allora, di comune accordo con le associazioni la manifestazione si è trasformata da OccupyScampia ad Occupiamoci di Scampia; con la speranza che il mancato coprifuoco non spegnesse i riflettori sulla “normalità” di Scampia. Ma ormai il danno era stato fatto. Dopo l’annuncio del coprifuoco una squadra di pallavolo che doveva venire a giocare a Scampia ha deciso di annullare la partita. Questo era il rischio che temevamo e cioè che alla fine si alimentasse, ancora una volta, solo la paura e il pregiudizio, senza nessuna risposta concreta.

Il problema vero è che a Scampia il coprifuoco non c’è mai stato o forse c’è sempre stato. Come abbiamo più volte ribadito, quando non ci sono morti ammazzati non significa, come vogliono farci credere, che le organizzazioni criminali sono state sconfitte, ma che semplicemente hanno trovato un accordo e quindi sono ancora più potenti. La camorra a Napoli, così come in definitiva le mafie nel meridione, sono la stessa aria che respiriamo e che lentamente modifica i nostri pensieri, le rinunce e i compromessi cui “normalmente” cediamo in una realtà che di normale non ha più nulla.

Da sempre le istituzioni si limitano solo a operazioni di contenimento del fenomeno. A poco servono le maxi retate e i super arresti, se ciò significa solo lasciare un posto vuoto nella classifica dei 10 criminali più pericolosi. Un posto che sarà rimpiazzato all’indomani dell’arresto. Le forze dell’ordine hanno la mappatura completa di tutte le piazze di spaccio del quartiere (Baku, la 33, le case dei puffi, le case celesti, il terzo mondo, la cianfa di cavallo ecc.) e ricordiamo che oltre al commissariato a Scampia c’è anche una delle più grosse caserme militari del centro sud Italia. Basterebbe una sola volante della polizia o dei carabinieri, all’entrata delle piazze di spaccio, per fermare il loro traffico di droga. Cosa che fa ogni anno, per un’ora, il carnevale del Gridas che blocca con colori, maschere e balli, la piazza di spaccio nelle cosiddette case dei puffi. La verità è che la camorra a Napoli e le mafie in generale, nel sud Italia funzionano da ammortizzatore sociale ed è fin troppo evidente che tutto ciò fa comodo allo Stato.

La nostra migliore risposta ad OccupyScampia e a chi, ancora una volta, ha creduto di illuderci, sono le immagini (di Andrea Ranalli) del trentesimo carnevale del Gridas. Trent’anni di (R)esistenza, di passione, di umiltà e di impegno. Trent’anni di silenzioso lavoro lontano dai riflettori ma vicino alla gente.


Video di Andrea Ranalli, Shoot for Change

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