L’Italia possiede gran parte del patrimonio culturale del pianeta. E ha già dato prova di non saperlo conservare. E nessuno dei governi che si sono succeduti nei decenni ha dato prova di saperlo valorizzare, anzi. Ma qualcosa forse sta cambiando. Sono in atto delle rivolte: a iniziare sono stati gli occupanti del Teatro Valle di Roma che in nome della “cultura come bene comune”, da otto mesi occupano il teatro storico al centro di Roma. Sono stati loro a catalizzare una serie di proteste. E la rivolta è penetrata fin dentro le mura del ministero del Beni Culturali: i lavoratori di base, i dirigenti, i sovrintendenti, che hanno subito in silenzio fino ad oggi il declino del nostro patrimonio storico e artistico, hanno deciso ora che non vogliono arrendersi e hanno permesso alle telecamere di “Presadiretta” (Rai3) di entrare per mostrare alcuni dei delitti compiuti negli ultimi anni di negligenze e tagli ai fondi.
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Come ad esempio a Sant’Ivo alla Sapienza a Roma, l’Archivio centrale dello Stato, dove preziosissime carte stanno letteralmente marcendo, e non carte qualsiasi, ma documenti di immenso valore storico e artistico. Come, ad esempio, le lettere di Michelangelo, gli atti dei processi a Caravaggio o le lettere di Aldo Moro. Testimonianze, reperti rari che i musei londinesi, francesi o tedeschi metterebbero in mostra in modo permanente.
A “Cultura a fondo” (Rai3 domenica alle 21,30) si parlerà poi anche degli sprechi assurdi: come i 9 milioni di euro per il sito internet del MIBAC che non ha funzionato per anni, o gli 8 milioni di euro per progettare una megabiblioteca a Milano che probabilmente non si farà mai. E poi i fondi destinati ai nostri beni culturali. Il Mibac ha infatti un budget di 1 miliardo di euro, mentre il ministero della Cultura francese largheggia con un budget di oltre 7 miliardi di euro. E i massicci finanziamenti dello stato francese a tutte le ramificazioni della cultura non diminuiscono con la crisi, anzi, le donazioni dei privati a tutto il settore, grazie alle agevolazioni fiscali, si stanno moltiplicando, in 10 anni si sono quintuplicate. Mentre noi aspettiamo da decenni una norma sulle agevolazioni fiscali per chi volesse donare soldi a un museo, a un castello in rovina o ad un teatro in decadimento.
Negli altri paesi avanzati l’industria culturale è considerata l’industria del futuro e sono previsti massicci investimenti, anche in paesi come la Cina e la Corea E noi? Cambieremo mai rotta? Finiremo di considerare il nostro patrimonio solo un peso?