Se di rimbombanti cacce ho orrore, il volo o il rufolare di qualcosa mi entusiasma.
Se sono riconoscente all’upupa, alla civetta, allo scoiattolo, al fagiano, alla lepre in corsa o guardinga, se l’istrice mi mostra la sua preistorica bellezza, se il cinghiale non più maremmano ma, credo, ungherese figlia non due ma nove lattonzoli, se il daino invade distruggendo ciò che qualcuno con fatica ha coltivato, non riesco ad assumere bilanciate posizioni.
Io sto con loro, con i loro grugniti e le loro maestose corse nelle campagne circostanti la mia città.
Almeno fino a quando, e non credo ipocritamente, attraverso lo stretto di Piombino e torno a essere “cacciatore”, ultimamente, se non di pesci, sicuramente di polpi e totani, di seppie e calamari che caccio, e per questo i miei figli mi canzonano, con l’acquolina in bocca.
Se per i tre o quattro calamari o totani, e mai di più, che pesco uso una vecchia totanara, per le camaleontiche seppie, più raramente, e per i polpi, uso le mani.
Quest’ultimi li catturo dopo una caccia di ricerca di cui conosco tutti i come e perché. E da cuoco, fra il tempo di cattura e la loro morte, faccio trascorrere giusto il tempo della risalita delle mie apnee. Lascio cadere, sospinte in basso dal mio pinneggiare, per condividere in banchetto tutte le loro interiora, compresa la sacca del nero, e da sempre lascio che i miei occhi partecipino a quella rivalsa delle giudole e dei verdoni che, insieme alle code nere, si precipitano su quei resti fino alla loro scomparsa.
Torno e li scotto con tempi matematici, tuffandoli, dopo averli inforchettati sotto la loro testa, per tre volte in acqua bollente, per far sì che i tre piccoli polpi, cambiando colore e arrossendo, si arriccino su se stessi. Dopo di che li lascio andare lentamente per 20 minuti insieme a un peperoncino intero e riposare nell’acqua bollente di cottura per altre due ore aggiungendo a quel punto un giusto quantitativo di sale.
I polpetti risulteranno così morbidi e croccanti e mai gommosamente sfatti, come ridotti da crudeli surgel-azioni.
Tagliuzzati li condisco con olio limone basilico e aglio e prezzemolo tritato. Pepe e peperoncino a piacimento. Poi tocchi di pane per accompagnare questa delizia di insalata di polpo. Non buttate via l’acqua di cottura. Di recente un amico marocchino ci ha ricotto dentro del cous cous, come d’altronde amici elbani la usano per allungare mitologici passati di pesce.