Sabato è stata pubblicata sul Corriere della sera una lunga intervista a Sergio Marchionne, che ha fornito molti elementi di riflessione. Provo a riassumerne alcuni.
Vi è un persistente eccesso di capacità produttiva nell’industria dell’auto a livello mondiale. Questo significa che molti impianti non lavorano usando la piena capacità produttiva e che quindi vi sono troppi stabilimenti produttivi rispetto alla dimensione del mercato. In Europa, in particolare, la capacità produttiva in eccesso è pari al 20-25 per cento, rispetto alla capacità installata. Non è una notizia nuova. Da almeno dieci anni vi è un problema di eccesso di capacità, ma i governi europei hanno cercato di drogare il mercato con gli incentivi alla rottamazione. Una pessima cura. Sono state usate risorse pubbliche per sostenere nel breve la domanda, favorendo tra l’altro anche i produttori non europei (coreani, giapponesi, cinesi, etc.) e si sono rinviate le decisioni dolorose del “cosa chiudere”.
Secondo punto, il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia èmolto più alto che negli altri paesi, questo non per colpa dei salari (che anzi sono bassi) ma per via della bassa produttività e del carico fiscale molto alto (cuneo fiscale). Il risultato: produrre un auto in Italia costa tanto, troppo, molto più che in altri paesi europei.
La produzione del gruppo Fiat in Italia è oramai scesa a livelli molto bassi: 500-600 mila vetture, meno di quanto si produca in Spagna, e simile a quanto si produce nella piccola Repubblica ceca. Questo basso grado di utilizzo della capacità produttiva accresce ulteriormente i costi di produzione degli impianti italiani. Marchionne dice: se si riesce ad esportare le auto prodotte in Italia negli USA allora si potrebbe aumentare il grado di utilizzo degli impianti italiani e magari arrivare all’80-85 per cento.
Se questa strategia non dovesse riuscire, la Fiat sarà costretta a chiudere uno o due stabilimenti (su cinque) in Italia. Si tratta di tagliare i costi fissi per restare competitivi. Marchionne dice inoltre: non chiederemo più incentivi alla rottamazione. E’ un segno di grande maturità.
E’ un discorso chiaro. So che molti si sono già esercitati nel linciaggio mediatico di Marchionne e altri lo faranno. Ma cosa dovrebbe dire un dirigente di un’azienda privata?
La questione è che bisogna ridurre i costi di produzione, migliorare la qualità del prodotto e solo in questo modo si può pensare di vendere sui mercati del nord America e del resto del mondo. Cosa facciamo per aiutare le imprese italiane a restare competitive? Esiste un piano di politica industriale per non disperdere le competenze accumulate nel settore auto? Si può ridurre il cuneo fiscale e quindi il clup? C’è un progetto europeo per l’industria dell’auto?
Certo un po’ evanescenti sono le sue risposte sul lato dei nuovi modelli. E’ vero che il mercato mondiale è in grave ristagno ma se non si hanno modelli nuovi da offrire è difficile vendere. Molti di quelli che criticano Marchionne rimpiangono forse i tempi in cui interveniva lo Stato, magari attraverso l’IRI e si accollava il costo di aziende in perdita, scaricandolo poi sulle future generazioni. No grazie, dicono i giovani.