Miglior film, migliore regia, migliore attore protagonista. E ancora quelle per i costumi e la colonna sonora: queste le conquiste della pellicola muta del regista Michel Hazanavicius, gran favorito alla vigilia. Premiata come miglior attrice protagonista Meryl Streep, umanissima Margaret Thatcher. Trionfano per le scenografie di Hugo Cabret anche gli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo
Tutto secondo copione agli Oscar. The Artist, favoritissimo alla vigilia, ha conquistato le statuette più pesanti: miglior film, migliore regia, migliore attore protagonista. E ancora quelle per i costumi e la colonna sonora. Cinque Oscar come Hugo, ma decisamente di maggior pregio. Il film di Scorsese ha fatto incetta di premi tecnici e tra questi anche il terzo trionfo di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo per le scenografie. Meryl Streep, umanissima Margaret Thatcher, ha portato a casa il terzo Oscar come migliore attrice protagonista, l’ottantaduenne Christopher Plummer quello come miglior attore non protagonista in Beginners e Octavia Spencer quello, meritatissimo, per la sua interpretazione in The Help. Gloria anche per Woody Allen, vincitore dell’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, che però al Kodak Theatre non c’era, fedele alla sua tradizionale ritrosia nei confronti di Hollywood.
Questi i premi principali, consegnati nel corso di una delle cerimonie degli Oscar più noiose degli ultimi vent’anni. La conduzione di Billy Crystal è stata anonima, senza picchi comici, così come blandi e poco incisivi sono stati i pochi momenti di spettacolo. Ma la colpa forse è anche dei film in lizza: non c’era un capolavoro indiscusso a primeggiare, nonostante The Artist fosse dato per vincente da esperti del settore e semplici cinefili. Tra gli sconfitti, oltre Scorsese, anche Paradiso amaro di Alexander Payne (che però ha vinto l’Oscar per la sceneggiatura non originale), con George Clooney battuto dall’ammiccante e muto Jean Dujardin. Anche per The Help le cose potevano andare meglio: la vittoria di Octavia Spencer non riesce a coprire del tutto la delusione per Viola Davis, che in molti vedevano favorita su Meryl Streep e Glenn Close (ancora a secco, per la sesta volta). Lo scontro infinito tra le due “regine madri” del cinema americano vede di nuovo sconfitta la Close.
Quello che tutti si aspettavano, dunque, si è puntualmente verificato. Hollywood premia il nostalgismo furbetto di un film muto, scegliendo ancora una volta di guardare al passato e di innamorarsi di operazioni commerciali più che di capolavori della settima arte. Mister Weinstein, deus ex machina della corsa agli Oscar di The Artist, può essere soddisfatto. Ha di nuovo dimostrato allo star system che tira più una campagna promozionale fatta come si deve che una vagonata di talento, intensità recitativa e perizia registica. Grandi maestri come Scorsese, Malick, Allen, Spielberg (il suo War Horse è rimasto meritatamente a bocca asciutta) battuti da un ex regista televisivo francese di origine lituana che ha confezionato un “prodotto” nato per vincere e che nell’intenzione di chi l’ha prodotto (e del presidente Sarkozy che ha twittato i complimenti un secondo dopo l’annuncio della vittoria) dovrebbe rilanciare il cinema transalpino. Truffaut, Rohmer, Malle e compagnia si staranno rivoltando nella tomba. È Hollywood, bellezza.