Il governo siriano ha comunicato i risultati del referendum indetto dal regime sulla nuova Costituzione: con l’89,4 per cento di sì i siriani hanno approvato il nuovo testo costituzionale che prevede la fine del sistema a partito unico, il limite di due mandati presidenziali consecutivi di sette anni ciascuno (articolo 88), ma solo a partire dalle prossime elezioni (articolo 155), previste nel 2014.
Intanto il dodicesimo round di sanzioni europee contro il regime siriano è stato adottato a Bruxelles nel consiglio dei ministri degli Esteri dei 27 paesi membri. Tra le misure decise, in particolare contro il settore finanziario, c’è il blocco delle operazioni della banca centrale siriana, il divieto di importazione di metalli preziosi, come oro e diamanti e una serie di restrizioni ai voli commerciali merci. Inoltre, è entrato in vigore per sette ministri del regime il divieto di ingresso nel territorio dell’Unione e il congelamento dei beni.
Con questo ulteriore giro di vite, l’Ue spera di indurre il governo del presidente Bashar Assad a fermare la repressione contro i gruppi e i movimenti che da quasi un anno stanno manifestando contro il regime. Una repressione costata finora oltre 7 mila morti. La speranza dell’Ue è che le sanzioni facciano effetto, e rapidamente, bloccando di fatto la macchina istituzionale, economica e operativa del regime, per allontanare la prospettiva di un intervento militare che nessuno, al momento, sembra volere. Lo ha detto chiaramente il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi a margine dell’incontro di Bruxelles: «E’ un momento estremamente critico, a Homs la Croce rossa no riesce neppure a entrare – ha detto Terzi – Ma dopo l’incontro di Tunisi la coalizione politica dei paesi che sostengono il piano di azione della Lega Araba si è estremamente rafforzata». Secondo Terzi, la direzione ormai è quella di spingere perché Assad abbandoni il potere, «ma è ancora tutto da vedere». E l’Italia appoggia l’imposizione di nuove sanzioni «perché non ci sono altre opzioni, se non quella militare, che per il momento nessuno si augura».
La stessa posizione è stata espressa da Villy Sovndal, ministro degli esteri danese (la Danimarca ha la presidenza di turno dell’Ue): «Non vedo alcuna opzione militare, per questo l’Ue continuerà a rafforzare le sanzioni e a chiedere all’opposizione di essere più unita». Uri Rosenthal, ministro degli Esteri olandese, ha aggiunto che comunque bisognerà studiare una missione di peacekeeping, anche se la priorità resta «fermare le violenze». Un compito che, secondo Catherine Ashton capo della politica estera dell’Ue, passa anche per il Consiglio di sicurezza dell’Onu che «deve assumersi le sue responsabilità». La baronessa Ashton ha ripetuto che l’Ue intende chiedere una tregua umanitaria, un cessate il fuoco, per consentire alle organizzazioni internazionali di intervenire per soccorrere i civili, specialmente a Homs.
Il Consiglio nazionale siriano, intanto, incassa un importante riconoscimento politico dal summit dei 27: «L’Ue riconosce il Cns quale centro dell’opposizione siriana, quindi come interlocutore per una soluzione politica per il paese”, ha detto il ministro degli Esteri italiani Terzi.
La soluzione politica potrebbe essere quella che il leader del Cns, Burhan Ghalioun, ha avanzato in una intervista con un giornale algerino: «Siamo favorevoli a permettere ad Assad e ai suoi familiari di lasciare la Siria in sicurezza per andare a Mosca o altrove. Noi non siamo i legittimi rappresentanti del popolo, perché non siamo stati eletti – ha precisato Ghalioun – Ma siamo i legittimi rappresentanti di questa fase di transizione, poi i siriani eleggeranno chi vogliono».
I risultati sul referendum, che ha visto un’affluenza alle urne del 54% degli aventi diritto, rischiano di essere eclissati dalle violenze, in corso non solo a Homs (sotto assedio da più di tre settimane), ma anche in altre zone del paese. Secondo la Bbc, che ha uno dei suoi corrispondenti in zona, colpi di artiglieria, mortaio e mitragliatrici pesanti sono stati uditi nella cittadina di Binnish (40 mila abitanti), poco a ovest di Idlib, nel nord del paese, non lontano dal confine con la Turchia. Alcuni altri villaggi della zona, come Sarmin e Maraat al-Numan sono sotto il fuoco delle truppe corazzate, che sembrano prepararsi per una nuova operazione in grande stile contro gli oppositori e le milizie del Free Syria Army, che nella zona di Idlib sono molto attive.
Secondo fonti locali dei gruppi di opposizione, anche in questo caso i cannoneggiamenti e i colpi di mortaio non risparmiano le zone residenziali civili, mentre i carri armati e i blindati hanno preso posizione per quella che sembra essere un’imminente avanzata sui centri abitati. Binnish era rimasta per alcune settimane sotto il controllo delle milizie del Free Syria Army e del Syria Liberation Army (un’altra formazione armata di opposizione). Secondo Al-Arabiya, almeno 15 persone sono state uccise lunedì, mentre il bilancio degli scontri di domenica è di almeno 63 vittime accertate. La maggior parte, ancora una volta, a Homs, dove, secondo testimonianze locali, i blindati e i tank avanzano lungo le strade principali del quartiere di Bab Amro, sparando a cannonate nelle strade laterali, in una metodica opera di distruzione.
di Joseph Zarlingo