“Sulle aste vedremo, intanto prepariamo la nuova legge. Ma preparatevi a pagare di più sui canoni”. Questo il messaggio con cui i ministri Piero Gnudi (Turismo) ed Enzo Moavero (Affari Europei) si sono congedati tre giorni fa dai rappresentanti dei bagnini italiani, accorsi in massa a Roma per tornare a parlare di concessioni demaniali. Dopo mesi di delusioni e di illusioni, tutto sommato quella di giovedì è stata una giornata positiva per la categoria. Con una premessa: quello che non si può fare è aggirare la Bolkestein o uscirne. Il Governo dell’europeista Mario Monti potrà anche sbracciarsi per spiegare a Bruxelles la “peculiarità” delle imprese balneari italiane e stabilire in armonia la durata delle future assegnazioni, ma la deroga ad hoc che tuttora, a parole, sognano diverse associazioni e i loro avvocati (soprattutto Fiba-Confesercenti, Sib-Confcommercio, Assobalneari-Confindustria e Cna-balneatori) rimane una fantasticheria.
Tutto sommato però, al dipartimento Affari Regionali e Turismo in via della Stamperia, Gnudi e Moavero ai ‘signori delle spiagge’ hanno dato buone notizie. Se il primo annunciava pochi giorni fa un regolamento sulle aste nel giro di 6-8 mesi, ora si è scelta la strada del dialogo forti di qualche risultato concreto. Anzitutto, con l’approvazione della legge comunitaria 2010 lo scorso dicembre, oggi si è definitivamente chiusa la procedura d’infrazione che era stata avviata dall’Ue nei confronti dell’Italia, accusata finora, sulla base della direttiva Bolkestein, di aver rinnovato automaticamente sempre agli stessi affidatari i 4.042 chilometri di coste italiane. Se la procedura non si fosse risolta, gli arenili sarebbero stati messi all’asta da subito senza aspettare la proroga già ottenuta fino al 2015.
La seconda buona ‘notizia’ è che il Governo conferma che di qui a 12 mesi o poco più, come previsto nella stessa comunitaria 2010, verrà varato un nuovo decreto salva-spiagge. L’intenzione, al momento, sarebbe quella di rilasciare nuove concessioni da quattro a vent’anni, in accordo con Regioni e associazioni. Gnudi e Moavero sanno, e lo hanno detto ai rappresentanti dei balneari, che l’attuale fase di incertezza penalizza gli operatori e l’intero settore, tanto che nessuno investe più (restano in ansia i circa 30 mila operatori balneari del Paese il 60% abbia, in media, acceso mutui fino al 2025). Dunque, la mano è tesa.
In tutto questo c’è un però. “Bisogna contemperare i legittimi interessi degli operatori con il rispetto della direttiva e dei trattati comunitari e le esigenze dell’erario”, hanno precisato Gnudi e Moavero. Ecco, le esigenze dell’erario. Dato che i canoni che lo Stato chiede ai concessionari restano ridicoli, quello che il Governo chiede ai bagnini è di pagare di più. “Auspichiamo che i canoni continuino ad essere fissati da una legge dello Stato, quale conditio sine qua non per costruire una disciplina delle concessioni basata su principi di equità”, ha già mandato a dire il presidente di Oasi-Confartigianato Giorgio Mussoni, gran capo dei bagnini romagnoli da Bellaria a Cattolica.
La questione dei canoni si trascina da anni. Si calcola che diverse centinaia di milioni di euro potrebbero entrare ogni anno nelle casse pubbliche solo se si applicassero meglio le norme che già esistono. Da decenni si regalano per pochi spiccioli (97 milioni di euro nel 2009) beni che fruttano ogni anno qualcosa come due miliardi di fatturato, più, si stima, un terzo miliardo in nero. Nel 2003 il Governo rivalutò i canoni del 300%. I bagnini si rivoltarono. Dopo che per quattro anni nessuno aveva pagato, la Finanziaria del 2007 eliminò il rincaro imponendo alle Regioni di rivedere al rialzo le categorie di “valenza turistica” (abolendo la classe C e ricollocando gli arenili pregiati in classe A, con quasi il raddoppio del canone). Peccato che nessuno abbia mosso un dito (alle Regioni va solo il 10% dei canoni, del resto) e che tuttora quasi tutte le spiagge italiane rientrino nella classe B. L’agenzia del Demanio aveva ipotizzato il profilarsi di danni erariali, ma niente. A Rimini la sola spiaggia in classe A è quella di fronte al Grand Hotel felliniano. Una legge del 2006 ha introdotto poi le cosiddette pertinenze, le concessioni pesanti (piscine, discoteche, cinema) che hanno fatto schizzare i canoni a quote quasi di mercato, ma i continui ricorsi al Tar delle aziende stanno ingrovigliando la questione e acuendo le differenziazioni, già enormi, da regione a regione. Risultato: a Rimini e provincia, ad esempio, all’anno 10 mila metri quadri di spiaggia costano otto mila euro di affitto, un chiosco di 100 metri quadri vale 500 euro.
Il punto è che il Governo già oggi potrebbe recuperare denaro dalle concessioni: l’articolo 47 del codice della navigazione prevede la decadenza del titolo quando il titolare non paga il canone. Attualmente lo Stato incassa solo un terzo del totale: i 2/3 dei bagnini, essendo morosi, sono titolari di fatto di concessioni decadute, quindi riassegnabili con bando pubblico.
Alla fine, resta attuale la denuncia di un paio d’anni fa della Corte dei Conti: “Non è possibile stabilire quanto lo Stato incassa dalle concessioni, il demanio marittimo è una realtà fiscalmente fuori controllo, prevale ormai una sorta di asserita impotenza a modificare la situazione”. La sfida dei tecnici di Monti è tutta qui.