Costi di bilancio pagati dai pendolari e rischio di sei miliardi per gli arbitrati legati al settore dell'alta velocità. Su questo si fondano i dubbi della magistratura contabile
Ferrovie belle, risplendenti e risanate, come ripete in ogni occasione e fino allo sfinimento l’amministratore delegato, Mauro Moretti? Mica tanto. Anche la Corte dei Conti esprime dubbi e fa propria la duplice perplessità coltivata da molti in questi anni e cioè che i miglioramenti di bilancio da soli non fanno viaggiare meglio i clienti, in particolare i pendolari e le aziende che si servono dei treni merci. E poi, seconda perplessità, che in qualche caso i risultati contabili possano essere pagati proprio dai viaggiatori normali, quelli non dell’Alta velocità e delle Frecce rosse, sotto forma di servizi scadenti, con investimenti esangui, soprattutto per quanto riguarda nuovi vagoni e locomotori, e come conseguenza di manutenzioni spesso ridotte. Che spesso si scaricano anche sulla sicurezza, come ha precisato di recente con parole misurate, ma molto chiare, l’Autorità per la sicurezza ferroviaria. Per quanto riguarda i nuovi treni c’è un esempio clamoroso e recente, quindi non ancora rilevato nella lunga relazione della Corte dei Conti (oltre 140 pagine) che ha esaminato i risultati 2009 e 2010 di Fsi, Ferrovie dello Stato, come da qualche tempo si chiamano. Proprio mentre le Ferrovie di Moretti decidevano di investire in Brandeburgo circa 73 milioni di euro acquistando 11 treni nuovi fiammanti per i pendolari tedeschi grazie a un leasing con Unicredit, ai pendolari italiani non veniva consegnata neanche una delle 600 nuove carrozze a due piani che lo stesso Moretti si era impegnato a fornire entro la fine del 2011.
La fornitura era prevista in base agli accordi con le regioni italiane firmati 3 anni fa e finanziati con una parte di quei 480 milioni stanziati dal governo Berlusconi per un triennio con l’obiettivo palese di favorire il rinnovo di contratti lunghi (6 anni più 6) proprio tra Trenitalia e regioni. Moretti ha presentato l’investimento in Brandeburgo come ottimo perché potenzialmente profittevole, in una regione economicamente molto dinamica. Per quanto riguarda la mancata consegna delle 600 carrozze agli italiani, invece, ha rifilato la colpa dei ritardi ai produttori, un consorzio guidato da Ansaldo-Breda della Finmeccanica. Senza entrare nel merito di questa duplice e asimmetrica operazione, i magistrati contabili avvertono che cercare di acquisire quote di mercato all’estero non può andare a scapito dell’obiettivo principale di far viaggiare passeggeri e merci in Italia in modo accettabile.
L’esame della Corte dei Conti sui risultati Fsi è importante per almeno due ordini di motivi. Il primo è l’autorevolezza del pulpito da cui vengono proposti i dubbi e i distinguo. Il secondo motivo è che i magistrati contabili non trascurano affatto un punto fondamentale, ma sempre più relegato in secondo piano in questi anni di ubriacatura ferroviaria. E cioè che Fsi sono senza dubbio una società per azioni, ma di tipo particolare, sotto la guida politica del ministero dei Trasporti e interamente di proprietà del ministero dell’Economia. Vincolate ovviamente al perseguimento di una gestione sana, oculata e possibilmente profittevole, senza perdere di vista, però, altri elementi fondamentali, legati alla ragione sociale ferroviaria e tipici di un’azienda statale. In prima fila il compito di rispettare il cosiddetto servizio universale trasportando tutti, pendolari compresi e merci, da una parte all’altra delle penisola nel migliore dei modi possibile e a condizioni accettabili. Da un punto di vista strettamente finanziario i risultati del gruppo Fsi sono innegabilmente positivi in entrambi gli anni esaminati e confermano una linea di miglioramento contabile che prosegue dal 2007.
In particolare nel 2010 i ricavi operativi del gruppo sono stati di oltre 8 miliardi di euro, con un incremento di quasi 2 miliardi rispetto a due anni prima, mentre il risultato operativo è stato di 129 milioni di euro. Sia Trenitalia sia Rfi, le due società più importanti, quella di gestione dell’esercizio ferroviario e quella dei binari, presentano bilanci discreti. I magistrati contabili, però, fanno notare che su Rfi pesa la spada di Damocle conseguente all’incorporazione per fusione della Tav (Alta velocità) nella stessa Rfi avvenuta 2 anni fa.
Sono tutt’ora pendenti numerosi arbitrati attivati dai general contractor per un totale di richieste di oltre 6 miliardi di euro: 1, 7 miliardi per la Milano-Bologna, 1, 2 per la Verona-Padova, 1 per il terzo valico Milano-Genova, 570 milioni per la Novara-Milano e così via. Il settore cargo (merci), infine, fa storia a sé e sta andando a rotoli, con ricavi da traffico precipitati in 5 anni da 770 milioni a 515 e una perdita costante, oltre 2 miliardi di euro in totale in un quinquennio. Le vicende del blocco degli autotrasportatori di alcune settimane fa hanno messo in evidenza l’estrema inadeguatezza del servizio ferroviario merci pubblico, capace di trasportare ormai appena il 7-8 per cento dei volumi movimentati ogni anno.
da Il Fatto Quotidiano del 28 febbraio 2012