Aveva intascato una tangente da 10mila euro per accelerare una pratica edilizia. Ora Milko Pennisi dovrà tirarne fuori cinque volte tanto: 50mila euro per risarcire il comune di Milano. A tanto ammonta, secondo la Corte dei conti, il danno di immagine causato all’ente dall’ex presidente della commissione Urbanistica di Palazzo Marino.

E’ l’11 febbraio 2010 quando Pennisi si assenta dal Consiglio comunale, dove siede tra i banchi del Pdl. Dovrebbe stare via solo qualche minuto. Ma in Aula non torna più. Finisce invece a San Vittore: arrestato in flagranza di reato con una mazzetta nascosta in un pacchetto di sigarette. Cinquemila euro che l’imprenditore bresciano Mario Basso gli porta in via Hoepli, a pochi passi da Palazzo Marino. Seconda tranche che si aggiunge ai cinquemila euro già consegnati a novembre 2009 per facilitare l’ok alla costruzione di una palazzina di tre piani in zona Bovisa. Solo che al primo incontro Basso si è presentato con una telecamera nascosta che gli ha prestato Fabrizio ‘Bicio’ Pensa, ex collaboratore di Fabrizio Corona. Mentre questa volta l’imprenditore arriva con tanto di polizia e guardia di finanza, visto che ha denunciato da un paio di giorni il consigliere comunale, oltre che un presunto tentativo di ricatto da parte di ‘Bicio’.

Pennisi non ha scampo. Accusato di concussione, all’inizio cerca di negare tutto. Poi ammette le sue responsabilità e ad aprile 2010 patteggia una pena di due anni e 10 mesi, finisce ai domiciliari, restituisce il denaro della tangente all’imprenditore. E versa nelle casse del Comune 5mila euro: “Una sua iniziativa spontanea – la definisce il difensore Antonio Bana – una somma simbolica come risarcimento per il danno di immagine subito dall’ente”. Ma il gesto simbolico non basta: i soldi sono troppo pochi, secondo la Corte dei conti della Lombardia. Che ora condanna Pennisi a pagarne altri 45mila. Per arrivare a una cifra che è il quintuplo della bustarella.

I giudici contabili, nella motivazione della sentenza, parlano di una “una seria lesione al prestigio dell’amministrazione comunale di Milano”, in quanto sono stati compromessi interessi di rilievo costituzionale, come l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa. Il danno di immagine, secondo la Corte dei conti, è reso particolarmente grave dal fatto che “il settore urbanistico è uno di quelli in cui maggiori sono la sensibilità e l’attenzione dell’opinione pubblica per il corretto svolgimento dell’azione amministrativa”.

Scrivono poi i giudici che “se il reato di concussione viene commesso da chi svolge un ruolo apicale nell’ambito dell’apparato amministrativo, è più facile che si diffonda all’esterno la convinzione che le pratiche illecite vi siano ampiamente estese”. Insomma, quando si è messo in tasca la mazzetta, Pennisi non era un semplice impiegato comunale. Ma un membro del Consiglio e il presidente della commissione Urbanistica. Considerato il suo ruolo, stabilisce la sentenza, il danno di immagine è più grave. E il danno ora deve essere riparato con un risarcimento che Pennisi definisce “ingiusto”. Tornato nel frattempo in libertà, l’ex consigliere comunale oggi ha 49 anni ed è in attesa di finire di scontare la pena in affidamento di prova ai servizi sociali. “Ho fatto uno sbaglio. Grave – ammette -. Ho patteggiato e mi sembra di aver pagato ampiamente. Adesso sto ricostruendomi. E non trovo giusto che su un mio errore lo Stato di diritto risponda con un’ingiustizia”. Parla di una sentenza che ha calcolato il risarcimento “senza alcun criterio”. Con una proporzione rispetto alla tangente che, dice, non è mai stata applicata ad alcun politico condannato.

Nella loro decisione i giudici sono andati al di là di quanto chiesto dal sostituto procuratore generale Adriano Gribaudo, che aveva quantificato il danno in una somma “non inferiore al triplo delle dazioni illecite ricevute” o anche maggiore. Anche in considerazione del fatto che al danno, “gravissimo e consistente”, ha contribuito l’ “eco mediatica” della vicenda. Giorni di articoli sui giornali che, secondo Pennisi, non hanno leso solo l’immagine del Comune. Lui dice di averli vissuti come una gogna: “Non mi identifico con la persona che è stata dipinta allora dalla stampa”, spiega, mentre ricorda di essere stato protagonista di un unico caso di bustarelle, conclusione a cui sono arrivate pure le indagini. Poi torna sui 50mila euro: “Io quei soldi non li ho. Se devo vendere la mia casa o ipotecarla, lo dicano. Ora faremo appello”.

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