Grazie alle campagne di associazioni e alla pubblicazione del report Toying with workers’ rights è stato firmato un accordo che rilancia i codici etici per la produzione dei gadget olimpici. Fra le iniziative, Londra finanzierà anche un call center in Cina per tutti i lavoratori che vorranno denunciare situazioni di sopruso
L’accusa è, come spesso avviene nel settore tessile e nelle imprese dei paesi emergenti, scontata: giocattoli, merchandising, magliette, felpe, sciarpe e cappelli sarebbero prodotti dalle aziende fornitrici senza il rispetto dei diritti minimi dei lavoratori. Ma ora il LOCOG, il comitato organizzatore dei giochi olimpici, corre ai ripari. Lo scorso 21 febbraio, grazie ai risultati di questo report, è infatti stato firmato un accordo che rilancia i vari codici etici che disciplinano le olimpiadi. E, così, fra le varie iniziative, Londra finanzierà anche un call center in Cina per tutti i lavoratori che vorranno denunciare situazioni di sopruso.
«Nel report non facciamo i nomi delle aziende che non rispettano le regole – dice Deborah Lucchetti, torinese, portavoce della campagna Abiti puliti, che ha rilanciato il report in Italia e che ha pure un’attiva pagina Facebook – sia per non mettere a rischio il futuro di questi lavoratori sia per spingere queste imprese a rientrare nella legalità. Nel report sono comunque menzionati i nomi dei licenziatari, cioè delle aziende che hanno vinto gli appalti e che poi hanno commissionato il lavoro ai fornitori. Grazie a questo rapporto – continua – si è subito aperta una fase negoziale con il LOCOG e così siamo giunti a questo grande risultato dell’accordo. E così il report ha avuto pesanti risultati ancora prima di essere reso pubblico. Soprattutto l’affermazione della necessità di un processo più trasparente. La filiera di questi prodotti deve essere conoscibile e riconoscibile da tutti».
PlayFair porta avanti già dalle Olimpiadi del 2004 il suo impegno contro lo sfruttamento. Il report di quest’anno è stato condotto grazie a interviste sul campo di un gruppo di ricercatori che hanno intervistato gli operai al di fuori delle fabbriche, in luoghi protetti e nascosti, e che sono riusciti anche a ottenere fotografie delle condizioni di lavoro.
«Le autorità cinesi – riprende Lucchetti – come è facile immaginare non facilitano affatto queste indagini sul campo, anche a causa della mancanza, in Cina, di un sindacato autonomo e indipendente. Ma esistono realtà, soprattutto a Hong Kong, che riescono a superare questo embargo. La censura – aggiunge la portavoce di Abiti puliti – è un po’ in tutto il mondo. Non sempre i media parlano di queste cose, perché quello delle Olimpiadi è un meccanismo dorato che nessuno vuole infrangere».
Il giro d’affari del merchandising di London 2012 è valutato in oltre un miliardo di sterline. I licenziatari hanno in gestione il marchio e sono loro a commissionare il lavoro ai fornitori. Non è quindi il LOCOG il diretto responsabile di quanto avviene in Cina e negli altri Paesi del mondo che sfruttano la manodopera – «anche se non c’è bisogno di andare lontano, avviene anche in Italia», dice Lucchetti – e a Londra, in questi giorni, il dibattito è ampio. La Bbc ha dedicato al report servizi televisivi e notizie sul sito Internet, i tabloid scandalistici hanno puntato sull’aspetto umano dei bambini obbligati a confezionare spille, il Guardian ha dato ampio risalto al ruolo del sindacato, in particolare del TUC. Il cui segretario generale, Brendan Barber, ha esultato per l’accordo raggiunto.