Milioni di lavoratori hanno partecipato allo sciopero generale che ha bloccato per 24 ore l’India. Una protesta imponente che non si vedeva da molti anni, convocata dalle undici principali sigle sindacali del Paese. Non soltanto quelle legate alla sinistra, ma anche le organizzazioni vicine al Partito del Congresso, al governo. I lavoratori chiedono aumenti dei salari in linea con l’inflazione e contestano le politiche economiche e sociali considerate troppo liberiste.
“E’ un’occasione storica. Per la prima volta siamo uniti per contestare le politiche anti lavoratori del governo” ha detto Gurudas Dasgupta, segretario generale del Congresso sindacale panindiano. Lo sciopero, cui si sono unite anche migliaia di piccole organizzazioni locali, rappresenta l’ennesima prova per la coalizione di governo di Manmohan Singh, che dalla sua rielezione nel 2009 ha già dovuto affrontare proteste popolari e scandali di corruzione, ultimo quello sulla svendita di licenze telefoniche nel 2008, che vede come imputato principale l’allora ministro delle Telecomunicazioni, Andimuthu Raja.
A niente sono servite le pressioni del primo ministro sulle confederazioni vicine al Congresso. Per i leader sindacali gli appelli del premier quando mancavano 48 ore alle manifestazioni non hanno avuto alcun senso. Se l’esecutivo è veramente interessato ai problemi dei lavoratori, hanno aggiunto, il luogo giusto per discuterne è un tavolo con i sindacati.
La piattaforma delle organizzazioni chiede condanne per chi trasgredisce le leggi sul lavoro, un welfare universale, l’istituzione di un fondo previdenziale, aumenti del salario minimo e il posto fisso per 50 milioni di lavoratori a contratto. Richieste, ha sottolineato il quotidiano The Hindu, avanzate già a metà febbraio durante l’annuale conferenza sul lavoro, cui ha partecipato lo stesso Singh, ed eluse dal governo.
Dall’apertura dell’economia e dall’avvio delle liberalizzazioni nel 1991 si tratta del quattordicesimo sciopero generale. Quest’anno coincide anche con importanti tornate elettorali in cinque Stati chiave tra cui l’Uttar Pradesh, il più popoloso della federazione. L’economia dell’India cresce, ma più lentamente che in passato. Nell’ultimo trimestre del 2011 il Prodotto interno lordo è aumentato del 6,4 per cento, inferiore al 6,9 del trimestre precedente e al 7,7 per cento registrato tra aprile e giugno. Il governo inoltre fatica a contenere la crescita dell’inflazione sotto la doppia cifra: negli ultimi due anni il tasso ha superato il 9 per cento, a dicembre è sceso al 7,5 per cento.
La protesta ha avuto risposte diverse nelle principali città del Paese. Pochi disagi nella capitale New Delhi e a Mumbai, centro finanziario dell’India, dove banche, assicurazioni e uffici sono rimasti chiusi ma non si sono registrati problemi per i trasporti o per la chiusura di negozi. “Il blocco del settore finanziario è stato totale”, ha assicurato Vishwas Utagi, a capo dell’Associazione panindiana dei bancari. E, ha aggiunto, potrebbe avere avuto ripercussioni sui profitti in Borsa, come ammesso da alcuni operatori di Mumbai e come temuto dal governo stesso. “Penso che l’esecutivo sia preoccupato soprattutto per l’impatto sulla finanza”, ha spiegato.
La protesta al contrario ha paralizzato Kolkata – come è chiamata ora Calcutta – da sempre roccaforte del sindacato: alle serrande abbassate si sono aggiunti addirittura taxi e risciò fermi ai bordi delle strade. Così come negli Stati del Kerala, dell’Odisha e di Tripura dove è forte l’influenza dei partiti e dei movimenti comunisti. Più complicata infine la situazione nel Bengala Occidentale governato dal Trinamool Congress, che a maggio scalzò dalla guida dello Stato i comunisti al governo da trent’anni e in occasione delle proteste ha cercato in tutti i modi di impedire lo sciopero. La governatrice Mamata Banerjee ha definito un fallimento la protesta dichiarando la fine della “cultura distruttiva dello sciopero” e portando a riprova una presenza a lavoro del 65 per cento degli impiegati pubblici. Un risultato “senza precedenti” nello Stato, ma viziato dalla minaccia di sanzioni per chi si fosse astenuto. Proprio nel Bengala Occidentale si sono registrate le proteste più dure con un centinaio di dimostranti fermati per aver bloccato ferrovie e strade e per aver aggredito una troupe televisiva durante gli scontri con una fazione contraria alla protesta.
di Andrea Pira