“Maestro, io non voglio fare l’università. Finite le superiori, a 16 anni, vado a lavorare”. Non sono pochi i ragazzi che in quinta elementare mi stupiscono con sortite di questo genere. La mia reazione è determinata: “Guai a voi se quando sarete grandi vi incontro e mi direte che non vi siete laureati. Dovete andare all’università, partire in Erasmus, apprendere una o più lingue, conoscere l’Europa”.
Ma questo, forse, è solo un sogno del maestro in quest’Italia dove l’istruzione obbligatoria è ancora ferma a 16 anni. Stamattina la segretaria della Cgil Susanna Camusso, all’assemblea dei candidati e delegati Rsu alla quale è intervenuto anche Roberto Vecchioni ricordava la necessità di elevare l’istruzione obbligatoria a 18 anni.
Una dichiarazione che si sposa con i dati pubblicati in questi giorni dalla rete Eurydice, nel rapporto “Cifre chiave dell’istruzione 2012”: “Risulta evidente, in quasi tutti i sistemi educativi d’Europa, la tendenza verso il prolungamento dell’istruzione obbligatoria, in linea con l’obiettivo di ridurre i tassi di abbandono scolastico precoce e, in alcuni casi, di assicurare che tutti gli studenti ottengano il certificato dell’istruzione di base.
In dieci paesi l’istruzione obbligatoria è stata anticipata di un anno (o addirittura di due, come in Lettonia). In altri tredici paesi la durata dell’istruzione obbligatoria a tempo pieno è stata prolungata di uno o due anni, o perfino di tre come nel caso del Portogallo in seguito a recenti riforme”.
Il nostro Paese ha bisogno di giovani che arrivino nel mondo del lavoro preparati: i laureati dell’istruzione terziaria si integrano nel mercato del lavoro due volte più rapidamente rispetto a chi è in possesso di una qualifica di livello inferiore. In media, occorrono 5 mesi ai laureati dell’istruzione terziaria per entrare nel mondo del lavoro, mentre ne occorrono 9,8 a chi ha una qualifica di livello più basso.
Forse oso pensare che già la scuola primaria dovrebbe pensare a dare maggiori competenze nell’ottica lavorativa: penso all’informatica. Sempre secondo il rapporto Eurydice “in scienze, matematica e informatica, come anche nel campo dell’educazione, ad esempio, la percentuale dei laureati è diminuita”. Un dato di cui dovrebbe tener conto anche un maestro.