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Primarie repubblicane, Romney vince in Michigan e Arizona. Ma Santorum è vicino

Il candidato più 'borghese' in trionfo a Phoenix, ma a Lansing supera di soli tre punti lo sfidante più pericoloso. Il tutto in attesa del Super Tuesday di martedì prossimo, quando si voterà contemporaneamente in 11 stati: in 'palio' 466 delegati

Mitt Romney nella campagna elettorale in Arizona

Mitt Romney vince le primarie in Michigan e Arizona e riesce – almeno per il momento – a respingere l’attacco di Rick Santorum. La vittoria in Arizona era attesa ed è stata alla fine particolarmente larga. Romney ha ottenuto il 47,3 per cento dei consensi, contro il 26,6 per cento di Santorum. Molto più vicini i due in Michigan, dove Romney batte Santorum con soli tre punti di scarto (41,1 per cento contro 37,9). Lontani gli altri due candidati, Ron Paul e Newt Gingrich (che ha preferito concentrarsi sugli Stati del Sud dove si voterà nelle prossime settimane).

Il sollievo per i risultati di Michigan e Arizona era chiaro nel volto di Romney e nei toni usati per salutare i sostenitori a Novi, mezz’ora di macchina da Detroit (mentre i suoi collaboratori si davano platealmente ‘il cinque’ in segno di esultanza). “Non abbiamo vinto di molto, ma abbiano vinto”, ha detto Romney, che ha evitato qualsiasi accenno a Santorum e si è subito messo a parlare di economia: “Vogliamo restaurare la promessa americana – ha detto – Vi prometto più lavoro, meno debito, meno Stato”. Parlando dall’Ohio (dove si voterà tra una settimana), Santorum ha per una volta trascurato i temi della morale che rappresentano il centro della sua campagna e ha anche lui toccato le questioni economiche: riduzione delle tasse per l’industria, ripresa di una politica energetica basata sul petrolio, oltre all’inevitabile stoccata nei confronti della riforma sanitaria di Barack Obama: “No all’Obamacare – ha urlato Santorum – perché ognuno di voi si deve prendere cura di se stesso. Questa è l’America!”

Il risultato di stanotte ridà slancio alla campagna di Romney in un momento particolarmente delicato. Perdere in Michigan, lo Stato dove è nato e cresciuto e dove il padre è stato governatore, avrebbe avuto conseguenze incalcolabili sulla sua sfida presidenziale. La possibilità di perdere il Michigan non era d’altra parte nemmeno presa in considerazione, da Romney e dai suoi, sino a qualche settimana fa. Poi erano venuti i successi di Santorum in Colorado, Missouri e Minnesota e l’emergere di dubbi sempre più consistenti da parte della leadership repubblicana su forza politica ed ‘eleggibilità’ di Romney a novembre. La serie continua di gaffe (per esempio l’affermazione, venerdì scorso, che la moglie Ann guida “due Cadillac”) ha ulteriormente indebolito la statura dell’ex-governatore del Massachusetts alla vigilia del voto di ieri.

Va detto comunque che anche Santorum, in questi ultimi giorni, ha collezionato diverse dichiarazioni discutibili. Affermazioni come “Obama è uno snob, perché vuole che tutti vadano all’università”, e “mi viene da vomitare, rileggendo il discorso di John Fitzgerald Kennedy sulla separazione tra Stato e Chiesa”, non sono sembrate capaci di avvicinare all’ex-senatore della Pennsylvania un elettorato moderato, indipendente, diverso da quello conservatore e religioso che già lo vota. La scoperta che dal suo quartier generale in Michigan sono partite telefonate agli elettori democratici, per convincerli a votare alle primarie repubblicane contro Romney, ha gettato ulteriore discredito su Santorum e seminato dubbi sempre più forti sulla sua candidatura.

Il voto in Michigan e Arizona (importantissimo politicamente, ma senza particolari ricadute nella distribuzione dei delegati. In Michigan erano in palio 30 delegati; in Arizona 29) conferma comunque trend di voto già chiari nei precedenti appuntamenti delle primarie repubblicane. Romney conquista il voto dell’elettorato più anziano, delle donne, dei cattolici, di chi guadagna più di 50 mila dollari all’anno, di quelli con un titolo di studio di scuola superiore. Votano per lui i repubblicani che pongono l’economia in testa ai loro pensieri, e chi ritiene che l’eleggibilità sia la caratteristica più importante per il candidato. Santorum è preferito dai meno ricchi, dagli evangelici, dai membri del Tea Party, da chi si considera “molto conservatore”, dai “blue-collars” bianchi, quella classe operaia conservatice sui valori che proprio non ce la fa a votare per il miliardario Romney. Questa spaccatura è stata visibile, ieri, nella contea di Kent, in Michigan. Mentre nelle zone industriali, con una forte popolazione operaia ha prevalso Santorum, in quelle più borghesi e affluenti (la periferia di Grand Rapids) ha vinto facilmente Romney.

Tutta l’attenzione, a questo punto, è rivolta a martedì prossimo, il giorno del Super Tuesday, quando voteranno 11 Stati e saranno in palio 466 delegati. A Romney toccherà, a quel punto, fugare i dubbi che ancora si addensano sulla sua candidatura. Se ieri l’ex-governatore del Massachusetts ha evitato l’umiliazione di essere battuto ‘in casa’, continua ad avere scarsissima presa nei confronti delle fasce popolari e di chi guadagna meno di 100 mila dollari, la stragrande maggioranza della popolazione americana. Ciò che ormai preoccupa sempre più la dirigenza del partito repubblicano è però la possibilità che lo scontro tra i candidati si protragga per mesi, in un crescendo selvaggio di accuse e insulti che non può che indebolire il futuro prescelto. “Lo scontro tra i candidati è troppo personale e violento e toglie attenzione dalla sfida a Barack Obama”, ha detto Haley Barbour, ex-governatore repubblicano del Mississippi. E per un altro governatore repubblicano, Paul LePage, “i nostri candidati si stanno divorando. Hanno indebolito se stessi e hanno indebolito il partito. A questo punto sarebbe meglio avere una faccia nuova e fresca per la presidenza”.