Doppio sì dalle commissioni di Camera e Senato: il tetto agli stipendi dei manger statali può essere applicato subito. La commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama ha approvato il provvedimento del governo che stabilisce l’immediata fissazione di una soglia massima alle remunerazioni dei manager pubblici, fissata intorno ai 294 mila euro, pari allo stipendio annuo lordo del primo presidente di Cassazione. Poco dopo è arrivato il sì delle Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera, con l’approvazione a grande maggioranza di un parere favorevole,  secondo il quale la norma è applicabile da subito. La Lega nord ha votato contro sia alla Camera sia al Senato.

Al Senato, il parere scritto dal relatore, il presidente Carlo Vizzini, è stato approvato con il solo voto contrario della Lega Nord. Il tetto agli stipendi dei dirigenti della Pubblica Amministrazione aveva in precedenza ricevuto anche il parere favorevole e unanime della commissione Lavoro. “Si è realizzata una significativa convergenza su tutte le questioni più rilevanti – ha dichiarato il presidente della commissione Lavoro Pasquale Giuliano – in particolare sul fatto che diventi subito operativo il tetto, anche per i contratti in corso”. Anche le commissioni di palazzo Madama hanno accolto il parere secondo la quale “non vi sarebbero ostacoli a un’applicazione immediata” dei tetti retributivi, “senza alcuna gradualità e senza operare alcuna differenziazione”, per “inderogabili esigenze” di contenimento della spesa.

Sul provvedimento si è innescato ieri uno scontro alla Camera. Dalla bozza dei relatori Silvano Moffa (Responsabile) e Donato Bruno (Pdl) , ufficialmente favorevole, sembravano emergere in realtà una serie di elementi tale da far ritenere la riduzione inattuabile, almeno nell’immediato. Così si sono levate le proteste su presunti “inciuci” e “pressioni della lobby dei burocrati”. Polemica rilanciata oggi da Linda Lanzillotta dell’Api, che in Commissione Affari costituzionali si è astenuta (come Isabella Bertolini del Pdl). Il motivo è spiegato in una nota: “Il parere favorevole è un capolavoro di subdola ipocrisia. Mentre si dà formalmente il via libera al decreto, nelle motivazioni dello stesso parere si sostiene la incostituzionalità non solo del decreto, ma anche della norma di legge che ne è il presupposto”. Lo stesso parere, infatti, “profetizza una cascata di ricorsi, molto probabilmente accolti”, da parte dei manager colpiti, con “un danno assai maggiore del risparmio che il provvedimento può determinare”. Una norma che nasce “suicida”, insomma, dato che le retribuzioni dei dirigenti pubblici sono fissate da contratti.

Il 23 febbraio il governo aveva reso pubblici gli stipendi di decine di alti dirigenti e di commissari di Authority. Il più pagato era risultato il capo della polizia Antonio Manganelli, con oltre 600mila euro l’anno.

La Lega aveva annunciato un voto favorevole “solo se il decreto entrerà in vigore da subito, in tempi certi e senza esclusioni”, aveva precisato il capogruppo della Lega alla Camera, Gianpaolo Dozzo, in una conferenza stampa organizzata per illustrare la proposta alternativa del Carroccio. “Se il parere sottoposto al voto dei deputati dovesse essere quello presentato ieri dai relatori diremo no, perché quel parere salvaguarda gli stipendi in corso”. Sul voto alla Camera  è intervenuto il deputato Massimiliano Fedriga: “Il parere prevede la possibilità di deroghe e così riapre ogni argine”. Tesi respinte dalle altre forze politiche. ”Il governo può derogare in casi limitatissimi e comunque non per gli uffici di diretta collaborazione”,  affermano Renato Brunetta (Pdl) e Gianclaudio Bressa (Pd).

”Andremo fino in fondo su questa linea”, ha commentato il ministro della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi dopo il doppio via libera. Concretamente, sarà presentato un emendamento al decreto legge semplificazioni, all’esame delle commissioni Affari costituzionali e Attività produttive. Lo ha riferito il deputato del Pd Gianclaudio Bressa. Nel suo iter, il tetto potrebbe estendersi anche agli stipendi “di tutti gli altri enti pubblici e locali”, come auspicato dal senatore Vizzini.

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