Abortire i neonati nei casi in cui si abortirebbero i feti. Questa la proposta “etica” (!) di due ricercatori italiani all’estero, Alberto Giubilini e Francesca Minerva.
La notizia me la segnala Claudio Giusti, esperto di pena di morte, e in effetti l’articolo riguarda persone da giustiziare, anche se a poche settimane o mesi. Sostengono infatti gli autori di “Aborto dopo la nascita, perchè il bambino dovrebbe vivere?” (Journal of Medical Ethics), che “L’aborto è largamente accettato anche per ragioni che non hanno niente a che fare con la salute del feto”, per cui, dal momento che sia i feti che i neonati non hanno lo stesso status morale come persone reali, l’uccisione di un neonato dovrebbe essere accettata in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, come situazione di bisogno economico della famiglia o situazione psicologica negativa della madre, anche se il bambino fosse sano.
Permettetemi di commentare intanto che è davvero sconvolgente che questi cervelli italiani all’estero abbiano prodotto simili elevate conclusioni. Francamente mi fa piacere non siano rimasti in Italia, cosicchè il nostro Paese abbia potuto privarsi dell’onore di aver dato origine a tale scioccante teoria.
Questa la prima reazione emotiva. Per valutare la notizia in modo più razionale, osservo innanzitutto che il neonato è un soggetto giuridico, cosa che un feto non è. E’ vero che la legge italiana assicura al “concepito” alcuni diritti, ad es quello di successione o donazione, ma comunque li subordina all’evento della nascita. Un neonato, ad esempio, ha diritto all’eredità anche se nato da poche ore. Qualora poi morisse l’eredità passerà ad un suo erede. Il concepito è invece erede soltanto se la nascita ne conferma il diritto. Non voglio certo ridurre la questione ai soli aspetti tecnici, ma solo rispondere alla presunta fondatezza tecnica della teoria di cui stiamo parlando, visto che i due ricercatori richiamano consuetudini sociali e fondamenti giuridici dell’aborto per sostenerla.
C’è poi un’altra distinzione essenziale fra prima e dopo la nascita: nel primo caso ogni scelta riguardante il feto riguarda anche la madre, quindi la prosecuzione di una gravidanza ai fini, ad esempio, dell’adozione, richiede alla donna un coinvolgimento fino alla nascita del bambino. E’ molto diverso, invece, se il bimbo è già nato, essendo un essere a se stante, la cui sorte non coinvolge quella dei genitori, se costoro non vogliono.
Mi sembra anche che il ragionamento dei due autori banalizzi la decisione di abortire che tante donne prendono con sofferenza e successive ripercussioni. Appare come se la questione (sia riguardo ai neonati che ai feti) fosse una mera questione di opportunità.
Sotto il profilo etico, noto che la mancata consapevolezza che ha un neonato è confrontabile con quella di una persona malata o anziana non in grado di comprendere, riconoscere e autogestirsi. Operando in modo estensivo come hanno fatto i due ricercatori, allora, potremmo eliminare tutti i disabili gravi, i malati di Alzheimer in stato avanzato, etc. Non era necessario tanto studio per arrivare a tali conclusioni aberranti: le teorie eugenetiche furono applicate tristemente dagli americani prima ancora che Hitler le elevasse ad arma di sterminio.