In cambio della moratoria gli Stati Uniti garantiranno al regime 240mila tonnellate di cibo, cui in futuro si aggiungeranno ulteriori sostegni a patto che non ci siano ripensamenti nelle posizioni del regime. I rifornimenti saranno consegnati con cargo mensili entro l'anno prossimo e la distribuzione sarà controllata affinché gli alimenti arrivino a chi ne ha realmente bisogno
L’intesa è il risultato degli incontri tra i rappresentati nordcoreani e statunitensi a Pechino lo scorso fine settimana, terza tornata dei colloqui ripresi a luglio dell’anno scorso, che tuttavia sembravano non aver dato risultati concreti. Secondo i patti, in cambio della moratoria gli Stati Uniti garantiranno al regime 240mila tonnellate in aiuti alimentari, cui in futuro si aggiungeranno ulteriori sostegni a patto che non ci siano ripensamenti nelle posizioni del regime. I rifornimenti saranno consegnati con cargo mensili entro l’anno prossimo e la distribuzione sarà controllata affinché gli alimenti arrivino a chi ne ha realmente bisogno, soprattutto donne e bambini, prime vittime della malnutrizione cronica che affligge il Paese. Aiuti indispensabili per la disastrata economia nordcoreana. Al punto che, ha riferito il DailyNk – tra le fonti più attendibili per capire cosa succede a Nord del 38esimo parallelo – il governo pare intenzionato a concedere permessi ai cittadini per uscire dal Paese e andare in Cina a trovare i parenti a condizione che tornino con derrate alimentari entro quaranta giorni.
“L’accordo riflette l’impegno spalla a spalla di Seoul e Washington per risolvere la questione nucleare che sembrava giunta a un punto morto”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri sudcoreano, Cho Byung-jae. A Sud della zona demilitarizzata, che dal 1953 taglia in due la penisola coreana, l’annuncio è stato salutato come la “prima porta aperta” per la ripresa dei colloqui a sei (che coinvolgono le Coree, Usa, Giappone, Russia e Cina), disertati da Pyongyang dal 2009 dopo la decisione l’anno prima di cacciare gli ispettori Aiea. L’opposizione liberale, che si prepara alle parlamentari di aprile e alle presidenziali di dicembre, ha invece accolto la decisione con la richiesta di porre fine a tensioni che riportano alla guerra fredda e ha puntato il dito contro il governo conservatore di Lee Myung-bak, accusato per la politica di intransigenza portata avanti durante il suo mandato che avrebbe vanificato gli sforzi per la riappacificazione del suo predecessore Kim Dae-jung.
Soddisfazione arriva dalla Cina e dalla Russia. “Lavoriamo affinché si giunga a una ripresa dei colloqui a sei e per la stabilità della penisola coreana e dell’Asia nordorientale”, ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hong Lei. Di speranza di cambiamento nel clima internazionale che circonda la Corea del Nord parla invece il Global Times. Per il tabloid nazionalista legato al Partito comunista cinese “non esistono Paesi “completamente malvagi”, pertanto il resto del mondo deve cercare di capire il governo di Pyongyang e instaurare normali relazioni senza farlo sentire accerchiato. “Accogliamo con favore la decisione”, è invece il commento di Mosca, trascorsi due giorni dalle frasi del premier Vladimir Putin che metteva in guardia la comunità internazionale dal provocare il regime con cui, occorre ricordare, la Russia sta cercando di ricostruire un’asse. Più scettico il Giappone. Sebbene si stia assistendo a un “miglioramento graduale”, la decisione di riprende i colloqui a sei, o anche quelli bilaterali, è ancora “prematura”, ha detto il ministro degli Esteri nipponico, Koichiro Gemba. Dubbi condivisi da molti analisti secondo cui le ispezioni all’impianto di Yongbyon non escludono che anche in altre strutture si continui il processo di arricchimento dell’uranio e ricordano come già in passato il regime abbia disatteso gli impegni presi, schierandosi a parole a favore della non proliferazione nucleare, ma continuando poi impunemente a effettuare lanci missilistici.
di Andrea Pira