La Dia mette i sigilli a una serie di immobili, anche in Lombardia e in Calabria, per riciclaggio dei profitti del narcotraffico. Il gruppo riconducibile a Ilario D'Agostino e Francesco Cardillo ha ottenuto commesse nelle grandi opere, dall'Alta velocità in Val Susa ai Giochi invernali del 2006, al porto di Imperia
Secondo le ricostruzioni della Dia, il gruppo è riuscito a riciclare milioni di euro anche in importanti commesse pubbliche inserite tra le opere realizzate per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, la Tav e il porto di Imperia. La “lavatrice” era azionata attraverso il lavoro nero e un sistema di false fatturazioni: gli operai, per la stragrande maggioranza calabresi legati alle famiglie della ‘ndrangheta, venivano prima assunti regolarmente e poi licenziati perché continuassero a lavorare in nero, mentre le fatture “gonfiate” venivano emesse all’interno di un reticolo che metteva in relazione le società paravento del gruppo con altre società satellite. Un modello complesso che richiedeva la consulenza di un colletto bianco, il commercialista Giuseppe Pontoriero, che imputato con Cardillo e D’Agostino nel processo Pioneer, per i fatti relativi alla confisca odierna, ha scelto la via del patteggiamento.
I beni confiscati sono riconducibili alle società Ediltava srl, Italia costruzioni srl e Domus Immobiliare srl, tutte facenti capo a Ilario D’agostino e al nipote, Cardillo, considerato una “consapevole” spalla degli affari imprenditoriali e immobiliari dello zio. Ma chi è l’imprenditore D’agostino, capace in Piemonte di penetrare gli appalti “blindati” delle Olimpiadi invernali?
Ilario D’agostino, attualmente in carcere con l’accusa di associazione mafiosa in seguito a Minotauro, la maxi operazione contro la ‘ndrangheta del giugno scorso, già arrestato (e assolto) nel 1988 in Calabria per sequestro di persona, violenza privata, lesioni personali e detenzione illegale di armi, indagato dalla Procura di Torino per narcotraffico nel 1994 (poi archiviato), ha intrattenuto comprovati rapporti con il boss calabrese Rocco Lopresti, deus ex machina dell’edilizia in Val di Susa e all’origine dello scioglimento del Comune di Bardonecchia nel 1995 per condizionamento mafioso.
Condannato nel 2002 dalla Corte d’Appello di Torino alla pena di tre anni e 4 mesi di reclusione per l’importazione di 250 chilogrammi di hashish dalla Spagna, è stato rinviato a giudizio per riciclaggio, aggravato dal favoreggiamento alla ‘ndrangheta, insieme al nipote Francesco Cardillo e al commercialista Pontoriero.
Secondo gli inquirenti D’Agostino coltiva numerosi legami con esponenti dalla ‘ndrangheta, a partire da Antonio Spagnolo, boss di Ciminà, di cui secondo le ricostruzioni degli inquirenti è incaricato di riciclare il denaro. Ma anche con Bruno Polito, Pietro Guarnieri, Nicola Polito, Pasqualino Marando, Cosimo Salerno, Peppe Aquino e soprattutto Cosimo Barranca, uno dei capi riconosciuti della ‘ndrangheta milanese.
Secondo il pentito Rocco Varacalli «è il contabile di Antonio Spagnolo, è affiliato alla ’ndrangheta di Ciminà ed è un imprenditore edile». Le sue imprese servirebbero «per far girare e riciclare i soldi di Spagnolo e coprirne il lavoro sporco».
“Questa confisca arriva dopo un lungo dibattimento – spiega il procuratore aggiunto Alberto Perduca – dimostrazione che le misure di prevenzione hanno oggi valore ed efficacia come strumento per colpire i patrimoni di origine sospetta, posseduti da persone socialmente pericolose e fortemente sospettate di appartenere a sodalizi criminali. La Procura di Torino si è attrezzata con un pool apposito. Nel 2011″, continua Perduca, “sono state presentate 25 proposte di prevenzione, di cui la metà per misure patrimoniali, con un sostanziale incremento rispetto al passato. Destinato ad aumentare ulteriormente”.