“Musicalmente parlando abbiamo molto da imparare, in generale, da un po’ tutta l’Europa, soprattutto quella più al Nord, dove essendoci una cultura musicale differente è lo Stato stesso che a volte offre addirittura i finanziamenti per comprarsi uno strumento musicale e promuovere arte vera e spontanea. In Italia, la cultura e l’arte sono considerate una cosa secondaria, da perditempo, perché non offre un eguale controvalore contabile in ‘soldi’ al tempo… ma sfugge completamente il ben più alto e redditizio valore a livello personale e quindi della società tutta. A questo però, è da associare un appello agli stessi giovani che si sentono ‘frustrati’: oggi c’è tanta, tantissima, forse ‘troppa’ musica in giro, e gli anni 70 (o anche 80 o 90!) non sono più qui. Oggi bisogna innanzitutto darsi da fare, investire soldi per creare un prodotto professionale, venderlo e promuoversi, in Internet forse più che su un palco all’inizio se si vuole pensare in ‘grande’ e fuori dalla propria città o nazione”.
Le parole che avete appena letto sono di Giancarlo Erra, giovane romano emigrato a Norwich, in Inghilterra, per realizzare il sogno di diventare musicista professionista: oggi è il frontman dei Nosound progressive rock band prodotta dalla celebre Kscope, nonché l’autore dei testi delle canzoni. Dopo alcuni demo privati e i primi feedback positivi nel 2005 decide che è arrivato il momento di gettare le basi per un progetto ambizioso. Subito dopo aver inciso il primo disco, realizzato insieme con il bassista Alessandro Luci e gli ottimi risultati di critica e vendite ottenuti fonda i Nosound con una squadra tutta italiana: la band vede Paolo Martellacci alle tastiere, Paolo Vigliarolo alle chitarre, Alessandro Luci al basso, Giancarlo Erra voce e tastiere e Gigi Zito alla batteria. Venerdì 2 marzo si esibiranno al Jailbreak Live Club di Roma per presentare il loro ultimo lavoro The Northern Religion Of Things. Un appuntamento imperdibile per gli appassionati del genere progressive rock, un invito rivolto soprattutto ai fan dei Porcupine Tree perché la band di Steven Wilson con i Nosound ha un rapporto particolare come ci racconta Giancarlo Erra: “Wilson ha di recente prodotto anche un mio altro progetto, Memories Of Machines, mentre io ho scritto un pezzo per l’altro progetto di Wilson con Tim Bowness. Insomma ci incrociamo (artisticamente e non) spesso con il buon Steven da quando suonavano a Roma e non li conosceva ancora nessuno”. Inoltre sono accomunati dal fatto di essere prodotti dalla stessa etichetta.
Giancarlo, come prima cosa volevo chiederti il motivo per cui sei emigrato e se il tuo è un caso di “cervello in fuga”…
Non so bene se il mio è un caso di cervello in fuga, mi definirei più un musicista in fuga! Nato e vissuto a Roma da quando avevo circa 13 anni ho iniziato a sognare di fare il musicista da grande. Per diversi anni ho lavorato facendo altro di giorno e l’artista – gratis – la notte, per essere libero da condizionamenti nella produzione e pubblicazione. Il primo disco dei Nosound l’ho prodotto da solo con grandi sacrifici economici e di tempo, spedendo migliaia di copie da casa, spendendo ore e ore scrivendo email per la promozione ed è stato subito chiaro quale sarebbe stato il futuro. In Italia stampa inesistente mentre piovevano recensioni e interviste dall’estero. Qui da noi negozi e distributori che chiedevano 10 copie in conto vendita (ovviamente mai pagati) o 50 a prezzo di costo mentre da fuori (Germania, Polonia, Inghilterra) arrivavano ordini di 200 pezzi con pagamento anticipato inclusa spedizione. Così ho ignorato di fatto completamente l’Italia, cosa che ho purtroppo pagato in quanto ho speso energie altrove, e senza compromessi o umiliazioni, senza chiedere favori o conoscenze, e infine muovendomi anche personalmente fuori. Ovviamente, appena abbiamo firmato per la Kscope, anche in Italia la situazione è cambiata… eravamo diventati forse degni di attenzione. La ‘fuga’ all’estero tre anni fa è stata una naturale conseguenza: appena messo il naso fuori mi hanno chiamato per lavorare per una casa discografica a fare quello che avevo fatto per i Nosound anche per altri, e oggi la mia vita è la musica. Quando torno a Roma e mi chiedono che lavoro faccio l’espressione che vedo sui volti è sempre la stessa… un punto interrogativo e un po’ di stupore… e il classico ‘cioè?’.
Com’è stato per un musicista come te ambientarsi e che tipo di clima hai trovato (musicalmente parlando)?
Bè, diciamo che in effetti è proprio il ‘clima’, quello non musicale, a cui ancora faccio fatica ad abituarmi! Parlando invece del clima musicale, non era la prima volta che venivo qui essendo la sede delle uniche due etichette con cui ho accettato di lavorare. Ambientarsi è stato in verità un po’ come trovarsi a casa, le cose sembravano tutte al loro posto come le avevo sempre immaginate, la musica come costante della vita delle persone (pur ovviamente se in gradi differenti) e alla base una ‘cultura’ e un ‘rispetto’ verso chi fa musica, a prescindere dai propri gusti personali, insomma arrivare in un paese con una ‘cultura’ musicale naturale nella società è un grande impatto… mi sono trovato da essere ‘uno dei pochi’ (considerato anche il genere musicale) a essere uno dei tanti… difficile da spiegare, ma immediatamente percepibile.
Quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato nel modo di vivere e fare musica fra l’Italia e l’Inghilterra?
C’è da dire che non sono rose e fiori neanche qui, il mercato (non solo musicale) sta cambiando e di certo i gusti del grande pubblico inglese non sono sempre così ‘profondi’, ma la fondamentale differenza è che c’è una cultura musicale, che parte dalle scuole e poi nelle famiglie, che noi non possiamo nemmeno immaginare. Nella piccola città dove vivo a ogni ora vedo ragazzi e ragazze di tutte le età in giro con ogni tipo di strumento, ogni adolescente sembra suoni uno strumento, perché lo insegnano in tutte le scuole, quasi tutti hanno un gruppetto, tutti ascoltano musica e dei più disparati generi. Fare il musicista qui è considerato ‘nomale’. L’Italia da qui tendenzialmente sembra non avere una vera cultura musicale che fa parte della società, e siamo tendenzialmente anche molto ‘provinciali’ e poco professionali nel campo (a parte rare eccezioni). Ancor di più stupisce quando cominci a viaggiare e girare per l’Europa e realizzi subito che l’eccezione siamo noi.
Come sono nati i Nosound?
L’idea del progetto Nosound è nata nel 2005 quando, dopo aver registrato alcuni demo e il discreto successo ottenuto. Gli ottimi risultati di critica e vendite hanno poi incoraggiato me innanzitutto a proseguire oltre, e la band è nata come conseguenza in quanto la musica da sempre era comunque nella mia testa per essere eseguita da una band. Già suonavo con Alessandro Luci e Paolo Martellacci (tastiere dei Nosound), avevamo una band con cui eseguivamo cover dei Porcupine Tree. Una volta addirittura ci vennero a sentire in quanto suonavamo il giorno prima di un loro concerto a Roma! La formazione ha subito un paio di cambi nei primi due anni, per arrivare a quella stabile attuale con cui ormai ci intendiamo all’istante.
Come mai la scelta di chiamarvi Nosound? E come nascono le vostre canzoni?
Il nome Nosound mi è sempre piaciuto per il contrasto tra il concetto di non-suono e la musica che scrivo o che ascolto, sempre ricca di suono. Le canzoni nascono nei modi più disparati, anche se all’inizio credo partissero più spesso da un ‘suono’ mentre ora nascono alla chitarra o al piano. La cosa che tipicamente non è mai cambiata è che nasce sempre nella testa… ho quasi sempre un’idea completa di un pezzo, inclusi strumenti o arrangiamenti, e la registrazione del demo è un processo di mettere in Logic o Pro Tools quelle idee. Mi occupo personalmente della scrittura musicale e dei testi, cosi come della produzione, missaggio etc. Preparo dei demo completi delle varie parti, e con la band poi ci vediamo, si ascolta insieme, si valuta, si provano i pezzi, cosi da filtrare, far arrivare nuove idee o cambiarne altre, e verificare e creare insieme quello che poi sara’ la musica finale. Ciò che ho sempre desiderato e che per me è alla base della creazione musicale dei Nosound, è tradurre delle emozioni o sensazioni in musica, e il l’ambizione è sapere che dall’altra parte – chi ascolta – c’è qualcuno che da quella musica è stato toccato allo stesso modo, nella sua vita, magari con una storia anche completamente diversa.
C’è una band in particolare a cui vi ispirate?
Veniamo un po’ tutti da formazioni diverse, variando dal jazz alla classica, dal progressive al cantautorato (italiano e straniero), ma credo che il territorio che ci accomuna è quello intorno ai Pink Floyd, ai primi Porcupine Tree (che si ispiravano ai Pink Floyd!), in parte ad altre cose come Radiohead o Sigur Rós, ad altri grandi gruppi come Genesis o King Crimson. Personalmente sono un grandissimo ascoltatore di musica da film, di ogni tipo e genere, nonché di musica minimalista del post-rock o dello shoegaze, e in generale sono da sempre molto sensibile alla musica più sperimentale e lenta/scura proveniente dal Nord Europa. Credo che personalmente sia proprio quella la culla della miglior musica di oggi.
Basta osservare le copertine e i booklet dei vostri dischi per capire che ci tenete molto all’aspetto grafico…
Come per la musica, è un processo di scambio di emozioni mai ragionato. Quando sono in giro sono sempre armato di Reflex e telecamera hd, e mi piace girare, immaginare musica quando osservo ciò che mi circonda… così come quando scrivo o ascolto musica immagino delle controparti visuali a ciò che ascolto. Quando a un certo punto torno sul materiale visivo e ascolto la musica a cui sto lavorando, è come mettere insieme le tessere di un puzzle creando parallelismi emotivi, collegamenti logici, significati che non avevo ovviamente pensato prima, almeno non consciamente. La sensazione che ho è come di pezzi che cadono tutti perfettamente al loro posto una volta che entra in gioco uno stato mentale particolarmente emotivo e sensibile.
Quali sono le vostre ambizioni?
Non abbiamo mai riflettuto sulle nostre ambizioni, ovviamente ci piacerebbe che i Nosound crescessero sempre di più, ci piacerebbe girare il mondo in tour anche per mesi, conoscere posti e persone diverse ogni giorno, e condividere con tutti da un palco queste emozioni. La mia ambizione di ‘vivere’ di musica l’ho raggiunta, per cui in ogni caso l’ambizione principale è quella di mantenere sempre questo approccio ‘puro’, mai guidato da compromessi, o dalla testa o da una programmazione, ma sempre e solo dalla spontaneità emotiva. Questa forse è anche la cosa più difficile da mantenere negli anni, non mi illudo ma la direzione è e rimarrà quella.