Cronaca

“Pecorella”, per giudicare va analizzato il contesto

Il monologo dell’attivista No-Tav ripreso da Corriere Tv l’altro ieri ha destato grande scalpore. Un manifestante irride un carabiniere in assetto anti sommossa chiamandolo “pecorella”, dicendogli che è un “illegale” perché ha il volto coperto e nessun numero o nome per essere identificato. Il manifestante dice invece il suo, con tanto di indirizzo. La lotta è impari: uno provoca, l’altro ha la consegna di non reagire. Uno ha mille ragioni per essere arrabbiato e qualche scusa per esagerare, l’altro, che esegue gli ordini per pochi soldi al mese, fa pena. E l’Italia si divide.

Torna alla mente, subito, l’orazione di Pierpaolo Pasolini dopo gli scontri di Valle Giulia, Università di Roma, 1° marzo 1968, esattamente quarantaquattro anni fa. Quel giorno l’intellettuale comunista Pierpaolo Pasolini prese tutti in contropiede schierandosi coi poliziotti: “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché (…) sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. (…) E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, e lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese). (…) Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (…) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. (…) Voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque”.

Cosa direbbe oggi Pasolini, guardando e ascoltando le immagini di quel monologo? Non lo sapremo mai, e per la genialità che lo contraddistingueva non possiamo neppure tentare d’intuirlo con qualche successo.

Certo quei poliziotti oggi non sono più poveri dei manifestanti, non necessariamente. Anzi. Giovani contro giovani, come allora, hanno comunque un lavoro, cosa che per il 30% dei casi in questo Paese è un miraggio, almeno sotto i trent’anni. Né fronteggiano ricchi rampolli universitari come allora, ma gente di ogni tipo, dai valligiani agli agricoltori come Abba, dai lavoratori manuali di vario genere agli impiegati, professori universitari e via così. Quei poliziotti non sono più vestiti male come nel ‘68, sembrano invece dei marziani, hanno bardature all’avanguardia, usano attrezzature costose, mentre ogni giorno veniamo a sapere che mancano strumenti e mezzi per l’azione di contrasto alla mafia e alla criminalità.

Come quarantaquattro anni fa le forze dell’ordine devono obbedire agli ordini, ma troppe cose sono accadute, anche recentemente, perché questo basti a renderli del tutto impermeabili alle critiche: dai pestaggi di Napoli a quelli di Bolzaneto, dai misteriosi incendi intorno al blocco dei No-Tav alle manganellate e ai gas gratuiti (e vietati) alla stazione di Torino, tre giorni fa, mentre ben 75.000 manifestanti tornavano dopo una giornata pacifica, importante, bellissima. Troppe cose, tutte rimaste senza colpevoli, senza scuse, impunite, in un diffuso sentimento di permissivismo, ingiustificato da una tensione sociale che oggi non è più quella di allora.

Questo non è un Paese democratico solo per chi deve accettare l’inutile, costosa e dannosa Alta Velocità, ma soprattutto per le forze dell’ordine. Un manifestante violento va punito, può forse screditare il suo movimento. Un poliziotto violento scredita il Paese e la democrazia, dunque danneggia tutti.

A Valle Giulia si manifestava, in Val Susa si resiste. Le motivazioni di queste due azioni e reazioni lontane quarantaquattro anni sono opposte. Qui sono le forze dell’ordine a scortare un’invasione industriale sbagliata, dannosa, assurda. Ma non basta.

Sono le forze dell’ordine ad aver incendiato, ieri l’altro, le macchine dei manifestanti e i capannoni intorno al blocco No-Tav? Vorremo saperlo, ci serve di saperlo per giudicare meglio l’inutile e potenzialmente dannoso monologo di scherno al carabiniere. Per farlo dobbiamo avere una fotografia ampia, occorre citare le cariche della polizia a Porta Nuova (qualcuno dice comandate da quello Spartaco Mortola che guidò l’assalto alla Diaz a Genova e ora è stato promosso Vice Questore di Alessandria), al termine di una giornata pacifica, tre giorni fa, e che sono la premessa a molta tensione, forse anche la causa di altri scontri, e in cui le forze dell’ordine non sono prive di responsabilità. Il monologo, che pure non mi piace e avrei impedito o almeno condannato se fossi stato negli organizzatori, va inserito in un quadro assai più complesso, perché giudicare un fatto è semplice, capire cosa sta accadendo nel suo insieme lo è molto meno.

Oggi, in piena crisi finanziaria, mentre non c’è denaro per i servizi sociali e per i bisognosi, e soprattutto in piena crisi del modello di sviluppo da perseguire per il Paese, viene sempre più difficile, a chiunque, non solidarizzare con chi dedica il suo tempo, la sua vita, la sua gioventù per impedire un altro grave scempio economico e naturale che in molti, da tutte le direzioni, indicano come assurdo, suffragati dalle ricerche e dai dati diffusi dal Sole 24Ore e appoggiati da centinaia di professori universitari che hanno scritto e firmato un’inutile lettera al presidente Napolitano.

“Io sto con loro, e vorrei che il Paese si occupasse di questo, che è molto più grave di uno stupido monologo in televisione”, direbbe forse Pasolini.