Ziuganov, Zhirinovsky, Prokhorov, Mironov. I quattro principali sfidanti per la conquista del Cremlino giocano le ultime battute di una campagna elettorale impostata da un lato sulla denuncia dei brogli, dall'altro da una retorica di sapore sovietico. Ma le speranze di battere il premier, per quanto indebolito, sono quasi nulle
Lo scorso 25 febbraio ventimila persone hanno formato una gigantesca catena umana nel centro di Mosca, dando nuovo slancio a un movimento che sembrava affievolito dalla rimonta putiniana. Un successo che ha spinto gli oppositori ad organizzare una nuova protesta di piazza, non ancora autorizzata, per il 5 marzo. Per le strade di Mosca si sono già visti slogan come “Putin vattene!” o “Putin la nostra strada non è la tua”. Eppure, nonostante le più importanti manifestazioni anti-governative dalla caduta del comunismo, Vladimir sembra destinato a impossessarsi di nuovo dei suoi uffici al Cremlino.
Ma quali sono i candidati che provano a sfidare l’uomo forte di Russia? Al secondo posto nei sondaggi c’è Gennady Ziuganov, leader del partito comunista, battuto di misura da Boris Eltsin nel 1996 e reduce da ben quattro sconfitte consecutive alle elezioni presidenziali. Un record negativo che però non sembra averlo scoraggiato. Il suo elettorato è costituito per lo più da vecchie generazioni e il suo programma segue i dettami classici del comunismo: posti di lavoro, qualità di vita migliore per contadini e operai, ridimensionamento dello strapotere della finanza. Difficilmente riuscirà a conquistare più del 20% delle preferenze. All’8 per cento c’è il nazionalista Vladimir Zhirinovsky.
Anche lui habitué della corsa presidenziale, si presenta per la quinta volta, ricoprendo ancora il ruolo di oppositore radicale che tutela soprattutto l’istruzione e i diritti dei lavoratori. Lo slogan della sua campagna è stato “O Zhirinovsky o il baratro”. Dietro di lui, con il 6% – ma va detto che fino a poco tempo fa aveva un insignificante 1% – c’è il vero outsider di queste elezioni: Mikhail Prokhorov. Miliardario, alla guida di un importante fondo di investimento e produttore d’oro che corre senza nessun partito alle spalle. Questo 46enne dalla figura imponente – è alto più di 2 metri – è il primo magnate russo a scendere in politica ed è ben consapevole della sfida, e del rischio, che lo attendono. Ha dichiarato che “Putin è stato un buon presidente, ma ora la Russia ha bisogno di sfuggire alla stagnazione. Le proteste di dicembre sono state un segnale chiaro”. E ha aggiunto: “Se dovessi conquistare il Cremlino, darei molti dei miei soldi in beneficenza. Per dare il buon esempio ai funzionari statali, oggi troppo corrotti”.
Prokhorov si rivolge soprattutto alla borghesia, promette di rafforzare la piccola e media impresa e di liberare Khodorkovsky, ma nonostante tutto non è riuscito a far breccia nel cuore dell’elettorato più colto. Navalny, forse l’unico vero candidato in pectore dell’opposizione, lo ha liquidato come “uno specchietto per le allodole progettato dal Cremlino per dirottare i voti liberali”. Il fanalino di coda delle presidenziali è il leader di Russia Giusta Sergey Mironov. Negli ultimi sondaggi è al 5% e per molti rimane ancora l’esponente di “un’opposizione pagata e voluta dal governo”. Mironov sostiene Putin, ma non condivide la strategia politica del suo partito. Nessuno di questi quattro candidati sembra avere le carte per battere lo “Zar”. Con lui c’è una Russia che ancora si lascia incantare da una retorica dal sapore sovietico, fatta di slogan come “Siamo un popolo vincitore, è nel nostro Dna” o “Non tradite la patria”. Ma che per molti non riuscirà a garantirgli la guida del Paese fino alla fine del prossimo mandato. Al di là del risultato del 4 marzo.
di Micol Sarfatti