La notizia non è stata tanto pubblicizzata, eppure il fatto che Vogue Italia abbia – per il secondo anno consecutivo – indetto una selezione per scoprire nuovi talenti nel campo della moda e del design è uno dei tanti impegni (o buone pratiche) che il mondo imprenditoriale può assumere nei confronti delle nuove generazioni, già bollate come ‘precarie’, ‘sfigate’ e senza futuro.
L’industria della moda non è soltanto un settore produttivo come un altro. Anzi, per l’Italia è molto importante e non stiamo qui a spiegare perchè. Aiuta l’export, stimola creatività ed innovazione, è anche una forma di arte.
In tempi di downshifting e downsizing per qualcuno diventa sacrilego parlare di moda, che è sinonimo di lusso. Eppure, non è così.
L’estetica del loden di Mario Monti ha colpito, è vero, anche il fashion business. E quest’anno si sono visti meno sprechi e meno frou frou. Per Antonella Matarrese, giornalista di moda, alla quale non sfugge il dettaglio sociale, la settimana della moda, appena conclusasi, è stata tutto un elogio al patriottismo: “I grandi marchi hanno puntato all’ artigianato, a lavorazioni minuziose di tessuti per rendere il prodotto inimitabile, contro l’invasione del “fast fashion” (Zara e affini). Gli stilisti hanno fatto cordata per difendere la libertà intellettuale del “made in Italy”. E se vogliamo mandarla a dire ai catastrofisti i fatturati moda sono tutti positivi, perché i mercati si sono allargati. In testa alla classifica, sempre il gruppo Tod’s e Prada”. Insomma, più contenuti e meno cornice. Un esempio? Molto suggestivi sono stati i tableaux vivants di Fay esposti a Palazzo Crespi con fasci di luce che proiettavano l’effetto lavorazione squame di serpente su giganteschi cubi bianchi.
Non vogliamo scomodare un certo Roland Barthes, semiologo, filosofo, grande pensatore, che scrisse il “Sistema della moda” e “Il senso della moda”, testi nei quali si analizza la moda e l’apparire come sistema comunicativo e significativo, ma di certo moltissimi ricorderanno il film “Il diavolo veste Prada”, in cui una spietata Meryl Streep rimprovera l’ingenua Anne Hathaway, descrivendole la piramide della moda: ciò che è alta moda oggi, sarà alla portata di tutti dopodomani, passando per gradi intermedi di diffusione e conformità nel pubblico. La moda è per tutti, la moda è di tutti.
Il percorso storico dell’umanità è fatto anche di modifiche continue all’abbigliamento; innovazioni e variazioni seguono – come tutte le forme culturali – la filosofia dei tempi, in bene ed in male.
La moda è comunicazione, dunque, una delle tante forme di comunicazione umana, forse la meno spiegabile, ma di certo una delle più immediate, perchè visiva e tattile.
I creativi della moda sono coloro che sanno intuire i gusti prossimi venturi, ovvero li impongono in un interscambio osmotico tra il presente e, forse, il sogno.
Dare spazio ai nuovi talenti, che sono tanti in Italia, ma soffocati dalle grandi maison (che ai nuovi talenti continuano a fare contratti da stagisti sottopagati) o da un sistema produttivo e pubblicitario tranciante, è segno di grande generosità in un mondo spietato.
E in tempi di meritocrazia non è poco
Januaria Piromallo