Ho letto molto su Lucio Dalla in questi giorni, tutto quanto mi è capitato sotto mano. Ho seguito telegiornali (perlopiù presunti tali) e seguito i dibattiti sul web. Magari mi sto sbagliando ma da nessuna parte ho trovato, letto o ascoltato un cenno esplicito alla sua omosessualità. Che per quanto ne so potrebbe anche essere stata una semplice vox populi, visto che di Lucio ho amato moltissimo una buona parte della sua musica ma poco o nulla mi è importato delle sue tendenze sessuali. Ma ciò che mi ha colpito è stata la cura certosina di tutti o quasi nell’evitare l’argomento. Anzi: nel lasciarlo sullo sfondo. Nel trattenersi dal nominarlo, come se, in qualche modo, fare anche un delicatissimo cenno all’argomento, avrebbe potuto in qualche modo danneggiarne l’immagine.
In un paese, diciamo così, “normale” potrebbe venire il sospetto che si sia trattato di una sacrosanta discrezione di molti media nell’affrontare un aspetto tanto delicato e privato della sua vita. Ma in Italia non riesco a sopprimere il sospetto che in realtà dire serenamente che la tal persona è gay o lo era, rappresenti un grosso problema, l’ammettere un qualcosa visto se va bene come una malattia che potrebbe turbare la coscienza (quale?) comune. Il meglio a cui riusciamo ad arrivare è dire senza dire. Meglio dare spazio al suo aspetto di “cantautore di Dio” come l’hanno definito i frati di Assisi che per primi hanno dato (perché ?) notizia della sua morte. Detto che in tale ruolo sarebbe sempre meglio lui di Cionfoli, meno male che tale definizione è stata contraddetta sabato sera da Vito Mancuso che ha preferito parlare di cantautore degli uomini.
Beato il paese in cui una persona può essere etero, gay o chissà cos’altro senza che parlare di ciascuna di queste tendenze rappresenti un problema. Non ci siamo in un paese così, e chissà se sbarcheremo mai in un’Itaca del genere.