Siamo passati in pochi mesi da una protesta No Cav ad una vibrante protesta No Tav. Apparentemente distanti e diverse. In realtà uguali. Allora si contestava un indegno regnante che aveva espropriato il Paese della democrazia, oggi di fatto si contesta un modello di democrazia di plastica. Perché tale è una democrazia che impone un progetto di 20 anni fa, preteso senza alcuna compartecipazione, oramai obsoleto, inutile, dannoso, antieconomico.
Dunque si disquisisce di un progetto imposto, non realmente partecipato dalla popolazione, salvo incontri abbozzati e tardivi che hanno prodotto alcune modifiche, ma soprattutto di un progetto inutile che ci costerà miliardi di euro e anni di devastazione ambientale.
Può bastare tutto ciò per rimetterlo in discussione? Direi di si.
Un progetto però fortemente voluto soprattutto da una lobby, oramai trasversale come tutte le lobby economiche: la CMC di Ravenna che ha un “modesto” fatturato di 800 milioni annui. Lobby che non conosce distinzione tra rosso, azzurro e verde, adorando solo quello purpureo delle banconote da 500.
Un progetto che si muove assiologicamente sul binario degli anni ’60, ambiente=sviluppo=lavoro, tanto caro ancora al Pd, ancora fondato sul simbolo calce e martello.
Oggi leggo che Monti vorrebbe introdurre per le Grandi Opere il modello francese di Debat public. Bene, meglio tardi(ssimo) che mai. Vi invito a leggere i principi fondanti e il meccanismo di tale strumento. Il principio di partecipazione che lo sorregge è fondato sulla consapevolezza degli impatti dei progetti di sviluppo e delle grandi opere per l’ambiente, e sulla concezione del principio di consultazione preventiva dei soggetti interessati. Il cui debat public può pure concludersi col diniego dell’opera.
Giova ricordare come l’Italia si sia sempre distinta negativamente in materia ambientale, soprattutto sulla VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) tant’è che per anni è stata chiamata la “Via italiana”, con numerose procedure d’infrazione e richiami da parte dell’Unione Europea. Comportamenti vergognosi, assecondati dal nostro legislatore ed anche dalla giurisprudenza amministrativa, con cui le opere, medie e anche grandi, vengono di fatto ideate da pochissimi soggetti e imposti a ogni costo alla collettività. Collettività che però viene usata per sopportare gli ingentissimi costi e spesso anche l’inutilità dell’opera.
Sovente dietro alle Grandi Opere si nascondono illeciti di Stato, in quanto legittimati dallo Stato, attraverso una ragnatela inestricabile di procedimenti, provvedimenti, prassi studiate ad arte solo per imporre l’opera, consentire una indebita lievitazione dei costi, spalmati su tutta la silente collettività. Grandi Opere a nostra insaputa.
Le Grandi Opere che producono grandi interesse sono il terreno più importante dove si misura il livello di democrazia, di legalità, di civiltà di un popolo. Per anni abbiamo dibattuto (e speso qualche centinaio di milioni di euro, a quando l’intervento della Corte dei Conti?) di “Ponte sullo stretto” poiché Napoleone voleva la sua opera immortale. Abbiamo poi dibattuto di ritorno al nucleare perché la lobby Enel aveva necessità di investire e speculare, salvandoci solo grazie alla tragedia di Fukushima. Dibattiamo da anni di Pedemontana, opera inutile e dannosa che devasterà definitivamente la Lombardia. Abbiamo costruito degassificatori (vere bombe) utili non si sa a chi. Ma la lista potrebbe essere infinita.
Non si discute mai invece di riqualificazione idrogeologica del territorio, di rigorosa salvaguardia del paesaggio (il bene più prezioso), di recupero dei pregevoli centri storici, di restauro di nostri beni artistici. Queste sono le vere Grandi Opere, peraltro economicamente molto convenienti.
La lotta No Tav mi commuove per la passione e per la partecipazione. Sarà che mi schiero sempre dalla parte dei più deboli. In realtà perché è una lotta giusta dinanzi a un’opera inutile e dannosa.
E’ una lotta necessaria per la nostra democrazia.
E dunque, caro Premier inauguri da subito il Debat public sull’opera Torino-Lione. Ci dimostri che il coraggio è durevole e sincero, dopo aver censurato le “olimpiadi romane alla Peck-Hepburn” e “la gomma del Ponte”, predisponendo un meccanismo di autentica democrazia partecipata, che possa pure concludersi con la censura dell’opera. Perché vede, il dialogo presuppone che entrambi i dialoganti abbiano parità di armi.
Diversamente dimostrerà che le metastasi del corpo della democrazia l’hanno oramai uccisa e che l’unico organo che la governa è solo un mesto Rigor Monti(s).
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