Capiamoci subito: subdolo o strisciante che sia, il razzismo biologico è una brutta bestia. Proprio come la violenza. Allora mi chiedo, perché ignorare (sottodimensionare, nella migliore delle ipotesi) altri sgradevoli episodi, a margine della stracittadina di ieri?
Su tutti, prima della gara, un turista spagnolo accoltellato fuori l’Olimpico. Trasportato in ospedale, è stato dichiarato fuori pericolo. Però si tratta dell’ennesima vittima di una sequela pluridecennale di sangue. Il copione è sempre lo stesso: accoltellato nella stessa area, fuori la Curva Sud, sul Lungotevere in prossimità sempre dello stesso ponte (Duca D’Aosta) e dello stesso bar (River) dove, mi vien da credere, (prima o poi) applicheranno macabre placche e targhette ricordo, trofei (a mò di scalpo) per celebrare a futura memoria l’anno, la partita e il nome dell’accoltellato. E’ talmente consuetudinario regalarsi punti di sutura ai glutei fuori lo stadio, che una volta l’ex Prefetto capitolino Achille Serra definì (in vernacolo) il reato come ‘puncicata’, sminuendo al gergo dei novelli rugantini gravità e portata dei fendenti all’arma bianca.
E poi le bombe carta, ripetute deflagrazioni di petardi rudimentali. Solo in Curva Sud ne avranno lanciate una decina, tra primo e secondo tempo, ritmandole al giubilo degli Olè stile torcida. Ma come? Nonostante messa in sicurezza dello Stadio Olimpico (ranking Elite, più alto punteggio europeo dell’Uefa, unico impianto italiano insieme al S. Siro di Milano), nonostante tornelli, telecamere, prefiltraggio, filtraggio, steward, biglietti nominativi e Tessera del Tifoso, le bombe carta continuano a varcarle indisturbate i cancelli? Se non fosse ancora chiara la loro pericolosità (sia mai il Prefetto pensasse di chiamarli bonariamente ‘bomboni di capodanno’), ricordo che ogni tanto qualcuno ci rimette pure le falangi della mano e qualcun altro ci muore pure. E che l’arbitro, per contrastare questi boatos, ha facoltà di sospendere la partita, come per striscioni e cori offensivi. E allora? Perché quest’inusuale indifferenza?
Credo che nella (giusta) condanna unanime per gli ululati al povero Juan, ci sia molta prevenzione, mista faziosimo da stadio, roba da sciarpa al collo in tribuna stampa, abilmente mascherata da un’ondata di moralizzazione e indignados, visto che le stesse colonne di carta stampata e le stesse emittenti televisive che oggi spergiurano contro la Curva Nord, per vent’anni hanno sorvolato su striscioni e cori offensivi nei confronti del defunto Vincenzo Paparelli (tifoso laziale ucciso all’Olimpico nel 1979 da un razzo sparato dal settore romanista). Il mio concetto è semplice, lineare e senza inganni: è giusto indignarsi oggi come però sarebbe stato giusto indignarsi anche ieri, quando tutti tacevano. E se non lo si è fatto prima, è cosa buona e giusta farlo adesso, però condannando ogni bruttura da stadio, con gli ululati della Curva Nord anche l’accoltellamento fuori l’Olimpico e le bombe carta scoppiate in Curva Sud.
Il rischio è scegliere arbitrariamente i casi da censurare, stigmatizzando pubblicamente solo quelli mediaticamente forti, indipendentemente dalla loro essenza riprovevole. Così non si uscirà mai dal circolo vizioso, ci sarà sempre una critica da Orazi e Curiazi, Romolo e Remo. In pratica ci si sdegna solo se l’episodio incriminato è a favore di telecamera (e gli ululati sono andati in diretta Sky/Rai/Mediaset, a differenza della ‘puncicata’ su Ponte Duca d’Aosta) e se la matrice curriculare dell’offendente è giornalisticamente coerente (si sa, la curva laziale è ormai marchiata a vita, tanto che non più tardi di una settimana fa, prima della trasferta con l’Atletico Madrid, El Pais le ha preventivamente regalato un bel ritratto biografico: ma El Pais oggi scriverà dello spagnolo ‘puncicato’ a Roma?)
Dimenticavo. Nessuno (stranamente) l’ha detto, ma dopo aver udito le ingiurie, stizzito, Juan ha provocato il pubblico laziale. Capisco trans agonistica e rabbia del forte difensore brasiliano, ma sfidare apertamente una curva di 20.000 avversari, intimandoli a zittirsi, è poco prudente, in Italia come all’estero. Semplicemente, Juan avrebbe dovuto limitarsi a segnalare la circostanza all’arbitro (cosa che poi – giustamente – ha fatto, tant’è che lo speaker ha intimato sanzioni al pubblico). E basta (almeno in campo).
“I cori razzisti per Juan? Ci sarà chi prenderà decisioni al riguardo – ha detto capitan futuro giallorosso, Daniele De Rossi – Prendermela con i tifosi della Lazio adesso non mi va e poi i cori li fa mezza serie A“. Bravo Daniele, il ‘così fa tutti’ non è una giustificazione ma l’indice di un problema da analizzare nella sua complessità, a trecento sessanta gradi. Lo prevede il codice di giustizia sportiva, ma anche il buon senso: mai rispondere ad una provocazione con un’altra inversa e contraria.