La mia canzone preferita di Lucio Dalla è stata sempre “Anna e Marco”. Ho consumato il vinile a furia di ascoltarla, pensando al mio di Marco, quello bello di Torino che si arrampicava (e ancora si arrampica) sulle montagne.
E anche nella vita di Lucio c’è stato un Marco. Importante, evidentemente. E molto.
Dalla aveva, per 68 anni, scelto la via del riserbo riguardo alle sue scelte sessuali, non affermando né negando nulla. Scelta legittima come ogni scelta individuale. Non mi sembra che ad ogni eterosessuale venga richiesto di parlare dei propri gusti sessuali e fare una lista dei propri amanti per accontentare la morbosità guardona del pubblico. Chi fa outing, mi trova dalla sua parte, sempre. Ma anche chi, per personalissime ragioni, sceglie il riserbo (che non è negazione, sia ben chiaro), mi trova dalla sua parte.
Se Lucio Dalla voleva fare outing e dire di Marco, “è il mio compagno”, lo avrebbe fatto. La scelta doveva essere la sua e di nessun altro. La sua e, evidentemente, di Marco. Non di Lucia Annunziata. Non di chi si è sentito in dovere, a poche ore (o minuti) dal funerale, di decidere di dissertare sulla sessualità di Dalla e sulle ipocrisie a ciò legate.
L’omofobia in Italia è spaventosa. Non credo che, però, la si combatta in questo modo. Con un protagonista che non è più in grado di dire la sua e che quando avrebbe potuto farlo, ha deciso di tacere. Per ragioni che vanno solo rispettate a questo punto.