Si sente spesso parlare di nuovi modelli di medicina territoriale, di nuove forme di aggregazione dei medici di famiglia che permetterebbero di migliorare i servizi erogati ai cittadini. Un lungo dossier sul Corriere della Sera di domenica 4 marzo per esempio traccia il profilo della medicina di famiglia del futuro, citando alcune sperimentazioni già in corso o destinate a partire in particolare in Lombardia e in Veneto.
E’ chiaro che con l’aumentare della longevità e del numero di malati cronici, occorre senza dubbio fare qualcosa per potenziare la medicina di famiglia ed è altrettanto chiaro che l’organizzazione di un sistema sanitario economicamente efficiente ma in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini sia materia tutt’altro che facile. Detto questo però va sottolineato che i modelli proposti sembrano fondarsi su logiche superate. Quando per esempio si evoca nuovamente la figura del medico/manager che da decenni viene dipinta come la soluzione ai problemi del sistema ospedaliero, e si sostiene che vada introdotta anche nella medicina di famiglia, si rimane quanto meno perplessi.
Prima di tutto viene da chiedersi se i cittadini sentano il bisogno di più ascolto e dialogo o di un manager a cui viene richiesto di badare più ai conti che alle necessità delle persone. E poi è già da anni che il medico viene condizionato da mille criteri economici e da infiniti paletti burocratici che spesso prevalgono sul suo desiderio di fornire un servizio accurato e approfondito. Come si fa allora a spacciare la managerialità come una soluzione innovativa?
Quando si parla di cambiamento nella pratica medica ci si interroga sempre e solo su aspetti organizzativi ed economici ma mai sui contenuti di quell’incontro tra medico e paziente che sta alla base della medicina. Invece di preoccuparsi di dare al medico tutte le competenze e gli strumenti necessari per interagire con le esigenze sempre più complesse dei pazienti, si tenta di controllarne l’operato con sempre più linee guida, con vincoli di spesa sempre più stretti in una sorta di ingegnerizzazione dell’atto medico. Ma siamo sicuri che questo sia ciò che serve al paziente? Ed è questo il modo in cui il medico vuole esercitare la sua professione? E ancora, è dimostrato che a lungo andare questa strategia è in grado di contenere davvero la spesa sanitaria?
La medicina necessita prima di tutto di una profonda trasformazione del rapporto medico-paziente che deve tornare a fondarsi sul dialogo e sull’ascolto. Poi è necessario che un numero maggiore di medici venga dotato della cultura e degli strumenti indispensabili per correggere alla base quei fattori di rischio che generano nel tempo le maggiori patologie croniche di oggi. Per esempio quanto vengono trattati durante l’università i temi dell’ambiente, dell’inquinamento, degli effetti nefasti di una nutrizione errata, dell’azione logorante di uno stress troppo elevato e di come tutti questi fattori contribuiscano assieme ad alterare l’espressione dei nostri geni?
E quanto ci si sofferma nel corso degli studi sui metodi di comunicazione più efficaci per aiutare un paziente a cambiare stile di vita? Come possiamo aspettarci che i medici siano in grado di destreggiarsi nel mantenimento della salute se tuttora gli viene insegnato così poco a riguardo? Ma non dovrebbe essere proprio la maggior attenzione alla salute e al malato cronico ciò che distingue il medico di famiglia da quello ospedaliero impegnato nella cura del paziente acuto e grave?
Allora ben vengano i tentativi di organizzare in modo diverso la medicina di famiglia ma non senza interrogarsi se questi medici vengano messi davvero nella condizione di fare la differenza a partire dalle basi culturali con cui vengono formati e dal ruolo che viene assegnato alla medicina di famiglia. Del resto da anni viene sottolineata la profonda differenza tra la medicina generale e le specialità mediche e come proprio la medicina generale sia rimasta schiacciata dalle mille specializzazioni. In termini pratici la medicina è fatta da un incontro tra due persone: il paziente con le sue esigenze più o meno urgenti e complesse e il medico che dovrebbe avere l’umanità per comprendere tali esigenze e le competenze tecniche per tentare di soddisfarle nel modo più scientifico e preciso possibile. Oggi non si può più dare per scontato che questo incontro avvenga secondo questi presupposti fondamentali ed è proprio per questo che qualsiasi processo di riforma serio non può che partire da qui.
Spesso i medici si lamentano perché non vengono coinvolti nei percorsi di cambiamento che sembrano imposti esclusivamente da logiche di contenimento dei costi. E’ giusto che si lamentino ma cosa dovrebbero dire i cittadini allora? Quando mai è stato chiesto loro cosa si aspettano dal Sistema Sanitario e dal loro medico di famiglia? Allora ripartire davvero dalla medicina di base vuol dire in realtà ripartire dalle basi della medicina. Invece questo tipo di soluzione sembra allontanarsi sempre di più forse perché è molto facile farsi sfuggire ciò che non si sta cercando. Basterebbe però guardare le cose da un altro punto di vista come suggerito da questo piccolo test: