Gli impianti eolici costano troppo ai contribuenti britannici. Così, il governo di coalizione fra conservatori e liberaldemocratici sta pensando di ridurre i sussidi statali. “Le wind farm sono uno spreco di soldi pubblici”, ha detto David Cameron, qualche giorno fa, in un intervento alla Camera dei Comuni. Il primo ministro era impegnato in un botta e risposta con il parlamentare di Redcar Ian Swales, che si lamentava della costruzione di nuove turbine alte 120 metri in un villaggio della sua circoscrizione elettorale. Così, da parte di Cameron, è arrivata la più forte presa di posizione contro le energie alternative dall’inizio del suo governo. E in tutto il Regno Unito il dibattito è ampio.
I commentatori hanno però subito fatto notare come la coalizione, con il nuovo Localism Act, stia togliendo potere di decisione alle comunità. Formalmente, la legge darà un’ampia possibilità di discussione anche sul tema degli impianti eolici. Ma, in concreto, renderà più difficile l’opposizione ai progetti da parte di comitati di cittadini, associazioni e gruppi di pressione. Nel Regno Unito non esiste un sistema di risarcimenti per tutti coloro coinvolti dalla costruzione delle “fattorie del vento”, al contrario di altri Paesi come l’Olanda o la Danimarca. Il tutto è lasciato ai ricorsi presentati dai singoli cittadini, che possono far valere i propri diritti solo in tribunale. Però in parlamento si cerca di correre ai ripari, con la nuova proposta che arriva dalla Camera dei Lord di stabilire una nuova distanza minima obbligatoria fra le turbine e le abitazioni.
Poi c’è quella lettera giunta a Cameron a metà febbraio e firmata da 100 parlamentari conservatori, che lo hanno messo in guardia sui costi crescenti, per le casse del regno, dei nuovi impianti eolici. “In questi momenti difficili per la nostra economia, non è giusto usare i soldi dei contribuenti per costruire nuove turbine, che si sono dimostrate dall’efficienza scarsa e intermittente, legata alle condizioni ambientali”, scrivevano i parlamentari. Eppure, negli stessi giorni, nel mare d’Irlanda al largo della Cumbria, veniva inaugurata la wind farm di Walney, la più grande centrale offshore – e cioè in mare aperto – al mondo. Di proprietà al 50 per cento della compagnia danese Dong Energy, al 25 per cento di un fondo pensione di Copenaghen e al restante 25 per cento della Scottish and Southern Energy, la centrale è in grado di produrre 367 MW, quanti bastano a dare energia elettrica, ogni anno, a 320mila abitazioni. Entro il 2020, in tutto il Regno Unito ci saranno 10mila turbine sul suolo e 4300 turbine in mare aperto. Eppure, proprio il giorno dell’inaugurazione a Walney, il ministro dell’Energia Ed Davey ammetteva gli enormi costi per i contribuenti. Le turbine offshore costano il doppio di quelle sulla terraferma. E costano quattro volte di più degli impianti a gas naturale, di cui il Mare del Nord è ricco.
Ma i malumori per le turbine eoliche si propagano anche più a nord, in Scozia. A metà febbraio il magnate americano Donald Trump, che sopra il Vallo di Adriano possiede uno dei campi da golf più grandi del Regno Unito, ha attaccato il primo ministro scozzese Alex Salmon, accusandolo di essere “il responsabile della distruzione del paesaggio”. Il tycoon si è opposto, già da tempo, alla costruzione di undici enormi turbine al largo della costa dell’Aberdeenshire, proprio di fronte al suo campo da golf e al suo resort. E poco importa se solo quattro anni fa Trump descrisse Salmond come “un uomo straordinario”. Ora, per il magnate, gli scozzesi si devono accorgere che “i costi di queste politiche scellerate ricadranno su di loro”. Trump ha pure annunciato, attaccando Salmond, il lancio di una campagna internazionale di sensibilizzazione, finanziata dalla sua fondazione, per opporsi alla costruzione delle wind farm al largo della costa scozzese. Salmond, che vuole portare la Scozia al voto per l’indipendenza entro il 2014, ha sempre detto di voler trasformare la parte più settentrionale del Regno Unito nell’area leader mondiale per le energie rinnovabili.