Nel varare frettolosamente, in maniera spregiudicata e seguendo un pensiero unico senza alcun confronto, la riforma delle pensioni il Ministero del Lavoro e Welfare (che io suggerirei di rinominare Ministero della Disoccupazione e della Povertà) stabilì inizialmente che, fino a un numero di 50.000, i disoccupati “riconosciuti” attraverso alcuni meccanismi specifici quali la presenza in mobilità, in contribuzione volontaria e in cassa integrazione, avrebbero potuto usufruire delle precedenti regole pensionistiche. In un intervento alla trasmissione Servizio Pubblico, ebbi modo di esprimere come la fissazione di un tetto rivelasse in essenza che vi erano più di 50.000 casi e che pertanto, in modo alquanto cinico, si fosse contemplata l’ipotesi che un po’ di disoccupati, ancorché se ne ignorasse la situazione specifica, potessero essere “mandati a perdere”.
In seguito il tetto dei 50.000 fu convertito in un tetto di spesa, apparentemente corrispondente a 65.000 deroghe, stabilito in una maniera talmente incomprensibile che perfino un parlamentare della commissione lavoro della camera, quindi un addetto ai lavori, ebbe a dirmi che così come io non capivo il meccanismo, neppure in commissione lo avevano capito.
Ora cominciano a emergere problemi che peraltro erano largamente nell’aria. Sembra che i disoccupati i quali erano stati espulsi dal mondo del lavoro anche in ragione del fatto che avrebbero agganciato la pensione con le regole esistenti e sulla base delle quali avevano fatto le proprie valutazioni nell’aderire alle pressioni aziendali per estrometterli, potrebbero essere 200.000 e ciò ovviamente crea in prospettiva un enorme problema: da un lato lo stanziamento necessario per salvaguardarli eroderebbe un po’ il tesoretto che il Governo si è già speso in sede europea, ad esempio per negoziare una deroghina al fiscal compact; dall’altro lato sembra arduo imporre alle aziende di riprendersi il personale a fronte del cambiamento delle regole che erano uno dei presupposti per l’accettazione del licenziamento. La terza via, che per questo Governo e per le industrie andrebbe anche bene, sarebbe quella del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”. Purtroppo questa via ai disoccupati invece non andrebbe troppo bene il che forse potrebbe anche far precipitare la situazione e portare a una resa dei conti su grande scala, vedremo.
Ma il punto che comunque mi preme affrontare è un altro: Non ci voleva nessuna particolare abilità per calcolare se gli stanziamenti previsti in materia di deroghe alla riforma varata fossero o meno sufficienti. Tutti i disoccupati oggetto delle deroghe sono in qualche modo in data base INPS, mobilitati, in prosecuzione volontaria etc. Per ciascuno di essi l’INPS ha una data certa di cessazione, di approvazione della volontaria, di maturazione dei requisiti e via dicendo. Approssimativamente con poche ore di lavoro l’INPS dovrebbe essere in grado di produrre i dati certi compresi gli importi delle pensioni.
Ma, ad oggi, l’INPS respinge le domande di pensione di coloro che hanno maturato i requisiti con le vecchie regole provenendo dalle procedure che ho citato, affermando di non avere ricevuto le circolari applicative del decreto e sembrerebbe che il Ministero si sia dato la scadenza di Giugno 2012 per definire i dettagli.
Dunque, non ci sono troppe alternative; vediamole: 1) L’Inps non è in grado di fornire i dati in un tempo compatibile con l’essere nel 2012 e non nel 1930; in tal caso bisogna mettersi a pensare a come chiuderlo e sostituirlo con qualcos’altro. 2) L’INPS ha i dati ma non li fornisce alla Ministra; i casi sono due, o si rifiuta di rispondere a una precisa richiesta e allora il Ministero deve subito cambiare i dirigenti, oppure i dati la Ministra non li ha chiesti e in tal caso la domanda è perché? 3) I dati la Ministra li ha e allora diventerebbe inquietante la domanda sul perché non li utilizzasse e perché il ministero non producesse le circolari applicative.
Ma, nessuna delle tre ipotesi cambia la sostanza del problema e cioè che i disoccupati vengono tenuti in uno stato di ansia, indeterminazione e sconcerto, in balia di voci, ipotesi e illazioni, mentre diventa vieppiù evidente che la Riforma Fornero è incompatibile con un grande numero di situazioni e tra l’altro fatta non dichiarando le reali motivazioni che erano, ormai è chiarissimo, solo di prelevare molta ricchezza dalle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati in modo da darla in pegno alla UE e di non toccare altre aree di ricchezza del paese.
In proposito si è espressa molto bene Carla Cantone, segretaria generale della SPI –CGIL (parole, però, e i fatti?) e pertanto, senza ripetere quanto già detto e ridetto, rinvio alla lettura della sua analisi.
Per concludere, non solo siamo il paese europeo con il sistema pensionistico più rigido per i lavoratori (o il più sostenibile, come orgogliosamente dice Monti all’Europa), non solo si sono cambiate le leggi senza tenere conto sufficientemente di tutte le problematiche, ma si è anche l’unico paese nel quale per mesi non si spiegano le modalità di attuazione delle leggi ai cittadini; anche se per essi potrebbero essere molto pesanti; roba da tribunale dei diritti dell’uomo.
Michele Carugi
Ingegnere
Economia & Lobby - 6 Marzo 2012
La lotteria dei disoccupati si estrae in Giugno
Nel varare frettolosamente, in maniera spregiudicata e seguendo un pensiero unico senza alcun confronto, la riforma delle pensioni il Ministero del Lavoro e Welfare (che io suggerirei di rinominare Ministero della Disoccupazione e della Povertà) stabilì inizialmente che, fino a un numero di 50.000, i disoccupati “riconosciuti” attraverso alcuni meccanismi specifici quali la presenza in mobilità, in contribuzione volontaria e in cassa integrazione, avrebbero potuto usufruire delle precedenti regole pensionistiche. In un intervento alla trasmissione Servizio Pubblico, ebbi modo di esprimere come la fissazione di un tetto rivelasse in essenza che vi erano più di 50.000 casi e che pertanto, in modo alquanto cinico, si fosse contemplata l’ipotesi che un po’ di disoccupati, ancorché se ne ignorasse la situazione specifica, potessero essere “mandati a perdere”.
In seguito il tetto dei 50.000 fu convertito in un tetto di spesa, apparentemente corrispondente a 65.000 deroghe, stabilito in una maniera talmente incomprensibile che perfino un parlamentare della commissione lavoro della camera, quindi un addetto ai lavori, ebbe a dirmi che così come io non capivo il meccanismo, neppure in commissione lo avevano capito.
Ora cominciano a emergere problemi che peraltro erano largamente nell’aria. Sembra che i disoccupati i quali erano stati espulsi dal mondo del lavoro anche in ragione del fatto che avrebbero agganciato la pensione con le regole esistenti e sulla base delle quali avevano fatto le proprie valutazioni nell’aderire alle pressioni aziendali per estrometterli, potrebbero essere 200.000 e ciò ovviamente crea in prospettiva un enorme problema: da un lato lo stanziamento necessario per salvaguardarli eroderebbe un po’ il tesoretto che il Governo si è già speso in sede europea, ad esempio per negoziare una deroghina al fiscal compact; dall’altro lato sembra arduo imporre alle aziende di riprendersi il personale a fronte del cambiamento delle regole che erano uno dei presupposti per l’accettazione del licenziamento. La terza via, che per questo Governo e per le industrie andrebbe anche bene, sarebbe quella del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”. Purtroppo questa via ai disoccupati invece non andrebbe troppo bene il che forse potrebbe anche far precipitare la situazione e portare a una resa dei conti su grande scala, vedremo.
Ma il punto che comunque mi preme affrontare è un altro: Non ci voleva nessuna particolare abilità per calcolare se gli stanziamenti previsti in materia di deroghe alla riforma varata fossero o meno sufficienti. Tutti i disoccupati oggetto delle deroghe sono in qualche modo in data base INPS, mobilitati, in prosecuzione volontaria etc. Per ciascuno di essi l’INPS ha una data certa di cessazione, di approvazione della volontaria, di maturazione dei requisiti e via dicendo. Approssimativamente con poche ore di lavoro l’INPS dovrebbe essere in grado di produrre i dati certi compresi gli importi delle pensioni.
Ma, ad oggi, l’INPS respinge le domande di pensione di coloro che hanno maturato i requisiti con le vecchie regole provenendo dalle procedure che ho citato, affermando di non avere ricevuto le circolari applicative del decreto e sembrerebbe che il Ministero si sia dato la scadenza di Giugno 2012 per definire i dettagli.
Dunque, non ci sono troppe alternative; vediamole: 1) L’Inps non è in grado di fornire i dati in un tempo compatibile con l’essere nel 2012 e non nel 1930; in tal caso bisogna mettersi a pensare a come chiuderlo e sostituirlo con qualcos’altro. 2) L’INPS ha i dati ma non li fornisce alla Ministra; i casi sono due, o si rifiuta di rispondere a una precisa richiesta e allora il Ministero deve subito cambiare i dirigenti, oppure i dati la Ministra non li ha chiesti e in tal caso la domanda è perché? 3) I dati la Ministra li ha e allora diventerebbe inquietante la domanda sul perché non li utilizzasse e perché il ministero non producesse le circolari applicative.
Ma, nessuna delle tre ipotesi cambia la sostanza del problema e cioè che i disoccupati vengono tenuti in uno stato di ansia, indeterminazione e sconcerto, in balia di voci, ipotesi e illazioni, mentre diventa vieppiù evidente che la Riforma Fornero è incompatibile con un grande numero di situazioni e tra l’altro fatta non dichiarando le reali motivazioni che erano, ormai è chiarissimo, solo di prelevare molta ricchezza dalle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati in modo da darla in pegno alla UE e di non toccare altre aree di ricchezza del paese.
In proposito si è espressa molto bene Carla Cantone, segretaria generale della SPI –CGIL (parole, però, e i fatti?) e pertanto, senza ripetere quanto già detto e ridetto, rinvio alla lettura della sua analisi.
Per concludere, non solo siamo il paese europeo con il sistema pensionistico più rigido per i lavoratori (o il più sostenibile, come orgogliosamente dice Monti all’Europa), non solo si sono cambiate le leggi senza tenere conto sufficientemente di tutte le problematiche, ma si è anche l’unico paese nel quale per mesi non si spiegano le modalità di attuazione delle leggi ai cittadini; anche se per essi potrebbero essere molto pesanti; roba da tribunale dei diritti dell’uomo.
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".