Tra pochi mesi dovrà procedersi al rinnovo dei membri dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e del suo Presidente. La centralità del ruolo dell’Authority nel sistema mediatico e nel mondo dell’informazione italiano è un dato ormai indubitabile.
Le questioni connesse all’assegnazione e soprattutto all’utilizzo delle frequenze, la nuova disciplina sulla circolazione dei contenuti online, le regole della par-condicio che governeranno l’ormai imminente campagna elettorale, il tema della net-neutrality e, prima ancora, quello della diffusione di internet nel nostro Paese e della garanzia di un adeguato livello di libertà e concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni sono solo alcuni delle grandi sfide che la nuova Autorità sarà chiamata ad affrontare.
Si tratta di sfide dalle quali dipende, in buona misura, il futuro di un Paese come il nostro sin qui tenuto sotto il giogo del tele-potere dai Signori del tele-comando.
E’ per questo che come già segnalato da altri è importante che alle nuove nomine dei membri dell’Agcom, Parlamento e Governo – ciascuno per quanto di propria competenza – provvedano attraverso procedure trasparenti e multistakeholders.
Una preziosa lezione in tal senso arriva da due Paesi africani come il Rwuanda e lo Zambia nei quali la legge stabilisce regole – assai più evolute delle nostre – per la nomina ed il funzionamento delle Autorità chiamate a svolgere ruoli e funzioni analoghi alla nostra Agcom.
In Zambia, la nomina dei nove membri dell’Authority è operata sulla base delle raccomandazioni di un’apposita commissione costituita, tra l’altro, da rappresentanti di organizzazioni non governative operanti nel settore dei diritti umani, organizzazioni religiose, enti che si occupano di supporto dei media.
Ciò che, tuttavia, sorprende di più è che la disciplina stabilisce che la Commissione per la nomina dei membri dell’Autorità vi provveda attraverso un autentico procedimento di selezione trasparente basato sull’esame di curricula e su interviste dei candidati.
Un processo lontano anni luce da quello sin qui seguito in Italia – dove la legge istitutiva dell’Autorità non si preoccupa di dettare alcuna regola al riguardo – che conduce a nomine “a sorpresa” che escono fuori, quasi per incantesimo, dalle segrete stanze del Parlamento.
Ma non basta.
In Zambia la legge istitutiva dell’Authority prevede regole severe per imporre ai suoi membri di far bene il loro lavoro nell’interesse del Paese.
Bastano tre assenze consecutive non giustificate alle riunioni dell’Autorità per perdere il posto o basta – si ha la tentazione di dire date le abitudini di casa nostra – essere coinvolti in un fallimento o essere condannati per una qualsiasi ragione che riguardi la disonestà perché il posto resti vacante.
Egualmente severe sono le regole sul conflitto di interessi da parte dei membri dell’Autorità i quali [n.d.r. la stessa regola si applica a chiunque altro intervenga ad una riunione dell’Authority] sono tenuti a dichiarare il conflitto all’inizio della riunione e non possono prendere parte alla discussione e, a maggior ragione, alle deliberazioni.
La violazione di questa elementare – anche se l’aggettivo è inappropriato avendo difronte la realtà italiana – regola di civiltà comporta una multa salata e/o una condanna fino a due anni di reclusione nelle patrie galere.
La distanza geografica non basta a giustificare il fatto che, da noi, nella migliore delle ipotesi, il Presidente del Consiglio – e non già i membri dell’Autorità – deve, al massimo girarsi dall’altra parte al momento del voto, dopo aver, comunque, partecipato alla discussione.
Analogamente di insegnamento è la disciplina istitutiva dell’omologa Rwandese della nostra Agcom.
I sette membri dell’Autorità che ha sede nella città di Kigali, Capitale del Rwanda, infatti, sono così nominati: due sono selezionati dal Ministro dell’informazione, tre sono scelti – attraverso elezioni – tra i rappresentanti dell’industria media pubblica (uno) e privata (due), uno – sempre attraverso una procedura elettorale – tra i rappresentanti di associazioni non governative e, infine, l’ultimo dalla federazione che rappresenta l’intero settore privato.
Come se non bastasse, almeno due, dei sette membri devono essere donne.
Un approccio decisamente più aperto e multistakeholders rispetto al nostro nel quale tutti i membri sono nominati dal Senato e dalla Camera dei deputati – senza alcun vincolo di genere o competenza – mentre il Presidente è nominato dal presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni.
Anche in Rwanda, peraltro, come in Zambia è facile perdere il posto di membro dell’Authority: basta, tra l’altro, esporre a rischio gli interessi – inclusa l’immagine e l’indipendenza – dell’Authority medesima o essere condannati per una qualsiasi pena superiore ai sei mesi.
Prima di procedere alla nomina della nuova Authority, pare valga davvero la pena di far tesoro della lezione africana.
Guido Scorza
Componente del collegio del garante per la protezione dei dati
Economia & Lobby - 6 Marzo 2012
Nomine Authorithy:
la lezione dell’Africa
Tra pochi mesi dovrà procedersi al rinnovo dei membri dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e del suo Presidente. La centralità del ruolo dell’Authority nel sistema mediatico e nel mondo dell’informazione italiano è un dato ormai indubitabile.
Le questioni connesse all’assegnazione e soprattutto all’utilizzo delle frequenze, la nuova disciplina sulla circolazione dei contenuti online, le regole della par-condicio che governeranno l’ormai imminente campagna elettorale, il tema della net-neutrality e, prima ancora, quello della diffusione di internet nel nostro Paese e della garanzia di un adeguato livello di libertà e concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni sono solo alcuni delle grandi sfide che la nuova Autorità sarà chiamata ad affrontare.
Si tratta di sfide dalle quali dipende, in buona misura, il futuro di un Paese come il nostro sin qui tenuto sotto il giogo del tele-potere dai Signori del tele-comando.
E’ per questo che come già segnalato da altri è importante che alle nuove nomine dei membri dell’Agcom, Parlamento e Governo – ciascuno per quanto di propria competenza – provvedano attraverso procedure trasparenti e multistakeholders.
Una preziosa lezione in tal senso arriva da due Paesi africani come il Rwuanda e lo Zambia nei quali la legge stabilisce regole – assai più evolute delle nostre – per la nomina ed il funzionamento delle Autorità chiamate a svolgere ruoli e funzioni analoghi alla nostra Agcom.
In Zambia, la nomina dei nove membri dell’Authority è operata sulla base delle raccomandazioni di un’apposita commissione costituita, tra l’altro, da rappresentanti di organizzazioni non governative operanti nel settore dei diritti umani, organizzazioni religiose, enti che si occupano di supporto dei media.
Ciò che, tuttavia, sorprende di più è che la disciplina stabilisce che la Commissione per la nomina dei membri dell’Autorità vi provveda attraverso un autentico procedimento di selezione trasparente basato sull’esame di curricula e su interviste dei candidati.
Un processo lontano anni luce da quello sin qui seguito in Italia – dove la legge istitutiva dell’Autorità non si preoccupa di dettare alcuna regola al riguardo – che conduce a nomine “a sorpresa” che escono fuori, quasi per incantesimo, dalle segrete stanze del Parlamento.
Ma non basta.
In Zambia la legge istitutiva dell’Authority prevede regole severe per imporre ai suoi membri di far bene il loro lavoro nell’interesse del Paese.
Bastano tre assenze consecutive non giustificate alle riunioni dell’Autorità per perdere il posto o basta – si ha la tentazione di dire date le abitudini di casa nostra – essere coinvolti in un fallimento o essere condannati per una qualsiasi ragione che riguardi la disonestà perché il posto resti vacante.
Egualmente severe sono le regole sul conflitto di interessi da parte dei membri dell’Autorità i quali [n.d.r. la stessa regola si applica a chiunque altro intervenga ad una riunione dell’Authority] sono tenuti a dichiarare il conflitto all’inizio della riunione e non possono prendere parte alla discussione e, a maggior ragione, alle deliberazioni.
La violazione di questa elementare – anche se l’aggettivo è inappropriato avendo difronte la realtà italiana – regola di civiltà comporta una multa salata e/o una condanna fino a due anni di reclusione nelle patrie galere.
La distanza geografica non basta a giustificare il fatto che, da noi, nella migliore delle ipotesi, il Presidente del Consiglio – e non già i membri dell’Autorità – deve, al massimo girarsi dall’altra parte al momento del voto, dopo aver, comunque, partecipato alla discussione.
Analogamente di insegnamento è la disciplina istitutiva dell’omologa Rwandese della nostra Agcom.
I sette membri dell’Autorità che ha sede nella città di Kigali, Capitale del Rwanda, infatti, sono così nominati: due sono selezionati dal Ministro dell’informazione, tre sono scelti – attraverso elezioni – tra i rappresentanti dell’industria media pubblica (uno) e privata (due), uno – sempre attraverso una procedura elettorale – tra i rappresentanti di associazioni non governative e, infine, l’ultimo dalla federazione che rappresenta l’intero settore privato.
Come se non bastasse, almeno due, dei sette membri devono essere donne.
Un approccio decisamente più aperto e multistakeholders rispetto al nostro nel quale tutti i membri sono nominati dal Senato e dalla Camera dei deputati – senza alcun vincolo di genere o competenza – mentre il Presidente è nominato dal presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni.
Anche in Rwanda, peraltro, come in Zambia è facile perdere il posto di membro dell’Authority: basta, tra l’altro, esporre a rischio gli interessi – inclusa l’immagine e l’indipendenza – dell’Authority medesima o essere condannati per una qualsiasi pena superiore ai sei mesi.
Prima di procedere alla nomina della nuova Authority, pare valga davvero la pena di far tesoro della lezione africana.
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Inoltre, si chiede di "sostenere il piano arabo per la ricostruzione della Striscia di Gaza ed ogni iniziativa diplomatica volta ad assicurare il rispetto della tregua e un reale rilancio del processo di pace: per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, per la protezione dei civili e per la fine delle violenze nei territori palestinesi occupati, per il rispetto della tregua in Libano e per scongiurare il rischio di futuri attacchi da parte di Hezbollah e Iran, nonché le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e, infine, affinché siano rispettate le risoluzioni delle Nazioni Unite".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "ribadire la ferma contrarietà all'utilizzo dei Fondi di coesione europei per il finanziamento e l'aumento delle spese militari". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "scegliere senza esitazioni e ambiguità, di fronte alle minacce globali e alle sfide inedite rappresentate dalla nuova amministrazione americane, l’interesse europeo, all’interno del quale si promuove e realizza il nostro interesse nazionale, anche una attraverso la costruzione di alleanze, a partire dai paesi fondatori dell’Europa, per collocare l’Italia sulla frontiera più avanzata dell’integrazione contro le spinte disgregatrici e i ripiegamenti nazionalisti". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Ribadire la ferma condanna della grave, inammissibile e ingiustificata aggressione russa dell'Ucraina e a continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, promuovendo con urgenza un’iniziativa diplomatica e politica autonoma dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati, per il perseguimento di una pace giusta e sicura, che preservi i diritti del popolo ucraino a partire da quello alla propria autoderminazione, l’ordine internazionale basato sulle regole e offra le necessarie garanzie di sicurezza per una soluzione duratura". E' quanto si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Il piano ReArmEU, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune che garantisca la deterrenza e un percorso di investimenti comuni in sicurezza realizzati non a detrimento delle priorità sociali, di coesione e sviluppo dell’Unione". Si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
"La difesa non può essere considerato un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica: tanto più l’affermazione dei nazionalismi disgregatori dell’unità europea è legata anche alla percezione di insicurezza economica e sociale, nonché alla paura nei confronti delle sfide globali".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Sostenere una risposta europea ed unitaria alle politiche dei dazi dell’amministrazione Trump, che escluda ogni controproducente e inadeguata tentazione di bilateralizzare la risoluzione del conflitto commerciale, e che ampli le contromisure includendo i servizi e i diritti di proprietà intellettuale delle Big Tech, rilanciando anche l’iniziativa multilaterale per l’introduzione della Global Minimum Tax". E' quanto chiede il Pd al governo nella risoluzione sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo, nella risoluzione presentata sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni, di "collocare l’Italia da protagonista nella costruzione di una vera difesa comune europea e non di un riarmo degli eserciti nazionali privo di coordinamento, esprimendo la chiara volontà politica di andare avanti nel percorso di realizzazione di un’unione della difesa, anche partendo da forme di cooperazione rafforzata o integrazione differenziata tra Stati membri".