Questa volta la Grecia sembra fare sul serio. Dopo aver tentennato per mesi nella privatizzazione delle sue aziende di Stato scatenando il disappunto dei creditori internazionali, negli scorsi giorni Atene ha messo sul banco la prima delle sei imprese che si è impegnata a vendere. Si tratta di Depa, il monopolista ellenico del gas, a cui entro la fine di giugno dovrebbero aggiungersi le società dell’acqua dell’Attica e di Salonicco (Eydap e Eyath), l’agenzia di scommesse Opap, la compagnia petrolifera nazionale Hellenic Petroleum (Helpe) e il centro audiovisivo internazionale che ospitò le televisioni di tutto il mondo durante le Olimpiadi del 2004.
L’obiettivo è incassare subito 4,5 miliardi per arrivare, attraverso altre cessioni, ad un totale di 19,5 miliardi entro dicembre del 2015. Si tratta di meno della metà rispetto al piano originale imposto dalla Troika (Ue-Bce-Fmi) che due anni fa, quando al governo c’era il socialista Giorgios Papandreou, ottenne la promessa di ricavare 50 miliardi di euro dalle privatizzazioni. Risultato? Ad oggi è stato venduto solo il 10% di Ote, la compagnia nazionale di telecomunicazioni, primo operatore nel sudest europa. A rilevare la quota, per circa 400 milioni di euro, sono stati i tedeschi di Deutsche Telekom, già presenti nella compagnia con un pacchetto del 30%. Ma dalla firma dell’accordo, avvenuta a giugno dell’anno scorso, la situazione finanziaria del gruppo non è migliorata. Anzi. Nonostante la riduzione del 11% dello stipendio dei lavoratori e alcune cessioni di rami d’azienda, il bilancio della compagnia resta in profondo rosso, con una perdita di 77 milioni di euro registrata nell’ultimo trimestre del 2011. Motivo: a causa della crisi, molti greci hanno disdetto il contratto telefonico. Il caso di Ote riflette la situazione dell’intero Paese, dove l’austerità imposta dall’estero invece di risollevare le finanze pubbliche ha inasprito la recessione. Alla sfida delle privatizzazioni ora è chiamato il tecnico Lucas Papademos, ex vice presidente della Banca centrale europea, che sembra voler segnare le distanze dal suo predecessore.
D’altra parte il pacchetto di privatizzazioni è una delle condizioni che Atene deve rispettare per ottenere i 130 miliardi di euro messi a disposizione dell’Unione europea. Il 29 febbraio è stata lanciata un’offerta di vendita per Depa, azienda monopolista nel settore gas, che a sua volta controlla la rete di distribuzione interna di proprietà della società Desfa. Il governo, che si è detto disponibile a cedere il 65% della compagnia (il restante 35% è in mano alla società petrolifera nazionale Helpe, a sua volta prossima alla cessione), accetterà offerte fino al 22 marzo. L’unico interesse ufficiale per ora è arrivato dalla russa Gazprom. Il controllo della rete greca potrebbe in effetti rappresentare un vantaggio importante per Mosca nella cosiddetta guerra dei gasdotti, la battaglia geopolitica che vede sfidarsi direttamente Russia ed Azerbaijan per rifornire di metano l’Europa. Il gigante russo per la verità ha già all’attivo una joint venture con Desfa (proprietaria della rete) per costruire la variante meridionale del South Stream, il gasdotto pensato da Mosca per trasportare il proprio metano in Europa evitando il passaggio in Ucraina.
Finora la Grecia era però sembrata più interessata al progetto concorrente, quello del gas azero, sempre sostenuto da Bruxelles e da Washington. Atene supportava apertamente il gasdotto Itgi, tubo progettato per collegare la Grecia all’Italia e trasportare nell’ultimo tratto di strada il metano azero in Europa. Nel consorzio era infatti presente la stessa Depa. Peccato che due settimana fa i soci del grande giacimento di gas azero, Shah Deniz II, abbiano bocciato l’Itgi a vantaggio del Tap, un tubo con le stesse funzioni ma senza soci greci. Insomma, il primo vero boccone messo sul piatto da Atene potrebbe conquistarlo la Russia. Chissà come la prenderanno a Bruxelles.