I combattimenti sono in corso ormai da qualche giorno, ma ieri, nella provincia di Abyan, nel sud dello Yemen, c’è stato un salto di qualità. Secondo il governo yemenita, almeno 185 soldati sono morti dopo che milizie locali legate Al Qaeda hanno attaccato Zinjiar, capuologo della provincia. L’attacco è stato concentrato contro una base militare nei pressi della città e almeno 55 soldati sono stati fatti prigionieri dalle milizie, che, da parte loro, hanno perso una settantina di combattenti, tra domenica e oggi.
L’obiettivo di questa offensiva, che non ha precedenti nella storia di Al Qaeda e che dunque solleva preoccupanti interrogativi sul radicamento dell’organizzazione jihadista nello Yemen, sarebbe quello di spingere le truppe governative ad abbandonare la provincia di Abyan. Lo ha detto Abu al-Hajiri, presunto leader dell’articolazione locale del network jihadista fondato da Osama bin Laden, in una intervista alla Mareb Press, un’agenzia di stampa locale.
“Gli attacchi compiuti dai nostri uomini negli ultimi sei giorni nel sud dello Yemen contro l’esercito fanno parte di una vasta offensiva contro il governo di Sanàa”, ha detto al-Hajiri, spiegando che gli attentati e le operazioni avvenute in altre zone del paese servivano a distrarre l’esercito, peraltro lacerato dallo scontro interno dovuto al braccio di ferro politico per la successione al presidente Ali Abdullah Saleh, il cui dominio, dopo 32 anni, è stato contestato dalle proteste di piazza iniziate un anno fa e concluse solo con la “transizione” del potere al suo vice, Abdo Rabbo Mansur Hadi. Proprio uno dei primi discorsi di Hadi, in cui ha promesso mano dura contro Al Qaeda (per tranquillizzare i vicini sauditi e gli Usa), ha però scatenato l’offensiva delle milizie jihadiste. Un’offensiva, peraltro, che secondo alcune analisi di intelligence e resoconti della stampa locale, potrebbe essere solo all’inizio.
Non si tratta comunque solo di rapporti tra la milizia locale, che si chiama Seguaci della Sharia, e il network Al Qaeda. Il “brand” qaedista si sovrappone a rivalità locali e soprattutto alle dispute politiche per l’assetto dello Yemen (il più povero tra i paesi arabi) dopo la caduta di Saleh. Nelle trattative che il governo ha detto di voler avviare, infatti, sono compresi tutti i principali gruppi politici, inclusi i ribelli antigovernativi sciiti del nord del paese. Tutti tranne gli Ansar al-Sharia. La politica del nuovo governo, in sostanziale continuità con il regime di Saleh, di cui Hadi è stato braccio destro per diciassette anni, è quella di una risposta esclusivamente militare alla presenza di Al Qaeda, che nello Yemen ha radici profonde e durature, intrecciate con la struttura sociale clanica che ancora domina in alcune zone del paese. La famiglia bin Laden, per esempio, è di origini yemenite e nel golfo di Aden, nell’ottobre del 2000, avvenne l’attacco contro la USS Cole, cacciatorpediniere statunitense di ritorno da una missione di pattugliamento nel Golfo Persico. L’attacco, una delle prime operazioni eclatanti di Al Qaeda dopo gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, causò la morte di 17 marinai statunitensi e il ferimento di altri 35.
Da allora, le intelligence occidentali (e quella saudita) hanno tenuto lo Yemen sotto osservazione, tanto che anche la fine del regime di Saleh è stata “pilotata” per evitare un vuoto di potere di cui potessero avvantaggiarsi organizzazioni della galassia jihadista. L’operazione, tuttavia, non sembra riuscita appieno, nonostante l’appoggio dato ad Hadi, che il mese scorso ha “vinto” le elezioni in cui era il solo candidato alla presidenza. Dal suo insediamento, il 25 febbraio, ci sono stati una serie di attentati suicidi e di attacchi mirati contro forze governative ed esponenti politici.
I commenti statunitensi evidenziano la preoccupazione per la situazione nello Yemen: «Gli Stati Uniti continueranno ad appoggiare il presidente Hadi e il popolo dello Yemen», ha detto la segretaria di stato Hillary Clinton ai reporter, dopo aver espresso le condoglianze per i soldati uccisi nei combattimenti. La sua portavoce Victoria Nuland, secondo le agenzie di stampa internazionali, ha detto che l’appoggio «per la sicurezza e l’antiterrorismo» continuerà durante i due anni di transizione che il nuovo governo ha fissato per dare un nuovo assetto al paese. Secondo il portavoce del Pentagono, George Little, comunque, non si tratta di una minaccia «esiziale» per il governo dello Yemen, che ha fronteggiato attacchi di questa dimensione anche in altre occasioni in passato. Gli Usa forniscono da anni materiali militari, addestramento ed equipaggiamento alle forze di sicurezza yemenite e talvolta usano gli aerei senza pilota in partenza dall’Arabia saudita per colpire le basi dei jihadisti.
di Joseph Zarlingo