Fino al 2009 il centro popolare del quartiere Antico Corso era un punto di riferimento della zona, con tanto di servizio di doposcuola per i ragazzini. Ora la struttura è abbandonata al degrado e i residenti denunciano atti di vandalismo
Qualcuno l’ha chiamata “l’alba della legalità”. Erano le cinque del mattino del 30 ottobre 2009 quando le forze dell’ordine sgomberavano a manganellate il centro popolare occupato Experia di Catania. Antico Corso, una delle zone più difficili della città. Oggi di quel centro sociale in cui si faceva doposcuola ai bambini e si insegnava loro a riparare le bici, è rimasta solo una scritta su un muro: “Unica soluzione: rioccupazione”. Intanto, però, da più di due anni si aspetta che le istituzioni – che quello sgombero l’hanno voluto – ci facciano qualcosa in quel vecchio palazzo nella storica via Plebiscito. Ma perfino i ragazzini del rione hanno smesso di crederci. Hanno fatto un buco nel muro del cortile posteriore del centro sociale e ci entrano ogni giorno. Coi palloni di cuoio rovinati, corrono in mezzo all’erba alta del giardino e arrivano in fondo. C’è un cancello con un catenaccio chiuso, ma le sbarre sono divelte, è facile passarci in mezzo. Per andare a giocare nella palestra della scuola Alessandro Manzoni. Cioè un campo da calcio di cemento, con due porte di ferro senza reti.
“La struttura del centro è in dissesto dal terremoto del 1990, la nostra priorità è metterlo in sicurezza”, aveva detto all’indomani dello sgombero l’allora soprintendente ai Beni culturali del comune etneo Gesualdo Campo, che avrebbe dovuto gestire lo stabile. “Mi hanno detto che dentro ci passano il tempo dei bambini – aveva dichiarato – Non posso permettere che rischino di farsi male sotto la mia responsabilità”. A due anni e quattro mesi di distanza, Gesualdo Campo è stato promosso a dirigente dell’assessorato ai Beni culturali della Regione Sicilia, ma i lavori all’Experia non sono mai cominciati. E i bambini lo frequentano lo stesso, da soli. Sotto la responsabilità di nessuno, tanto meno delle istituzioni, che in uno dei quartieri a più alta densità mafiosa di Catania sono assenti. Il centro popolare, un ex cinema, nei progetti di Campo sarebbe dovuto diventare un teatro per l’Ersu, l’ente regionale per gli studi universitari. Che però ha fatto sapere di non volerlo. Per gestirlo, infatti, servirebbero troppi soldi. E così resta chiuso.
“I bambini non si limitano a giocare a calcio – denuncia Mariagrazia Messina, una residente di via Purità, a pochi metri dall’ex centro popolare – Alcuni prendono in giro i pedoni, tirano le pietre addosso ai passanti e contro le auto in transito”. “Non vanno a scuola, si vede”, conclude. Le fa eco la sua vicina di casa Marisa Cantale: “Non possiamo più stare tranquilli, e polizia e carabinieri non si fanno vedere da queste parti”. Neanche quando capita che venga incendiata una macchina parcheggiata senza apparenti motivi.
“Nell’Antico corso non c’è niente, a parte l’università e l’ospedale”, spiega Daniele Zito, uno degli ex occupanti dell’Experia. E proprio davanti al pronto soccorso ginecologico era in sosta l’autovettura data alle fiamme qualche giorno fa. “Ho visto tutto”, sostiene Ivan Nicosia, che abita proprio a pochi passi da lì. Alcuni bambini – dagli otto ai quindici anni – avrebbero appiccato il fuoco a qualcosa, probabilmente una busta di spazzatura, e l’avrebbero gettata sotto la macchina. Poi sarebbero scappati. “L’auto era di un signore che era in ospedale”. In quartiere dicono che sua moglie stesse partorendo, quando i vigili del fuoco l’hanno avvisato che del suo mezzo non rimaneva che una carcassa bruciata.
Maicol e Francesco, dodici e otto anni, ci tengono a discolparsi: “Hanno detto che siamo stati noi ma non è vero”. Si fingono calciatori per la strada, si passano la palla da un lato all’altro della carreggiata tra i motorini che sfrecciano. Loro il centro sociale lo frequentavano: “Ci è dispiaciuto che l’hanno chiuso”, si lamentano. Perché prima almeno avevano un posto dove andare il pomeriggio, adesso non più. “Era pieno di bambini – raccontano – Alcuni facevano il doposcuola, altri andavano solo a giocare”. Quelli di loro che adesso compiono atti vandalici nel quartiere dicono di non conoscerli. Sostengono di pensare ai fatti loro, al pallone. Maicol vorrebbe fare il calciatore di mestiere, Francesco pensa ad andare a vendere la frutta il sabato mattina con il marito di sua madre. Il futuro è troppo lontano.
articolo e video di Luisa Santangelo