Là-bas scordatevi l’educazione sentimentale: l’apprendistato è criminale. Siamo “laggiù”, e per gli africani “laggiù” è l’Europa, la terra della fortuna, ovvero della disperazione. Poco importa, là-bas è un altrove, un posto lontano lontano, ma senza fiaba: non c’è il regno dell’Orco verde Shrek, bensì l’impero della camorra sovrana. Dove? Per esempio, Castel Volturno, a circa 30 kilometri da Napoli. Quando? Per esempio, il 18 settembre 2008, quando un commando della camorra irrompe in una sartoria di migranti africani: centinaia di proiettili esplosi, molti a segno. A terra rimangono sei ragazzi, più un altro ferito seriamente, Joseph Ayimbora, grazie alla cui testimonianza è stato possibile arrestare gli esecutori della strage. Vissuto in regime di semi-protezione, Ayimbora è morto pochi giorni fa, il 29 febbraio.
Fin qui la cronaca, poi arriva la finzione di Là-bas, ma non diremmo: Yssouf (Kader Alassane), lo zio Moses, Germain, la bella Asetù e la prostituta Suad non sono strappati dalla carta patinata della sceneggiatura, ma da quella sporca della cronaca. Perché “non c’è un lavoro vero per i clandestini, l’unica alternativa è tra lo sfruttamento e il crimine”, dice il regista Guido Lombardi, e come dargli torto? Yssouf potrebbe vendere fazzoletti ai semafori partenopei per pochi euro al giorno come fa Germain oppure entrare nel traffico di cocaina dello zio Moses, che l’ha attirato in Italia per “coltivarne” le doti artistiche. Ma non ci saranno sculture per lui, e nemmeno quella già pronta avrà tempo per arrugginire sottoterra: il presente sono ovuli di cocaina da spacciare, l’alcol da provare per la prima volta, qualche bel vestito e un amore mai nato.
E la strage, capitata mentre Lombardi (classe ’75) scriveva questa suo fortunato esordio, già in concorso alla Settimana della Critica e insignito del Leone del Futuro – Premio Opera Prima “Luigi De Laurentiis” all’ultima Mostra di Venezia, che venerdì arriva nelle nostre sale con Cinecittà Luce.
Beffa di sangue, i sei rimasti a terra – hanno concluso le indagini della magistratura – con lo spaccio non c’entravano nulla. Viceversa, qui Yssouf si trova invischiato suo malgrado nel traffico, ma poco importa: non è Caino, ma un “fratello” orfano di speranza, condannato a (soprav)vivere e morire prima di altri, prima “degli altri”, i bianchi, i privilegiati.
Con stile verità e urgenza morale, Lombardi scrive e dirige in un altrove che non conosciamo, né vogliamo conoscere, perché “Qui tutti sono stronzi”, anzi, forse “Dio è bianco”. Che dire? Cinema impegnato, Gomorra virato in nero, antropologia a mano armata, darwinismo criminale, in un film piccolo ma necessario, imperfetto ma urgente, preso e costruito dal basso, immagine su immagine. La regia non brilla di eccessiva originalità, il budget non è alto e qui e là si vede, la drammaturgia talvolta si inceppa tra lo spontaneismo della presa sul reale e una poetica fin troppo naif, ma Là-bas c’è qualcosa da scoprire. E non dimenticare: ne va della nostra coscienza.