Siamo sicuri che le speranze di vita stiano (ancora) aumentando? Che l’aria sia inquinata non è una novità. E non è nemmeno una novità che la gente muoia di tumore. Quello che invece si rinnova quotidianamente (e che non può non rimanere tema di attualità) è il gioco dello scaricabarile, la perenne tendenza della collettività a individuare “altrove” i colpevoli in qualsiasi questione scomoda. Entità indefinite nel tempo, ma soprattutto nel luogo.
A Ravenna sono state raccolte 1800 firme per proteggere un parco rimasto per anni meravigliosamente incolto, tanto che si è ricreato al suo interno un ecosistema adatto alle lucciole. Questo coleottero – è bene specificarlo – non va inteso come “simpatico animaletto che fa luce di notte”, ma come indicatore biologico che non sopravvive al di sopra di una determinata soglia di urbanizzazione.
E questo, i milleottocento firmatari, lo sanno. Non si tratta di una battaglia contro un inceneritore, una base militare o una centrale nucleare, ma di una banale richiesta di un comitato: “vogliamo un prato, non vogliamo un parcheggio”. La risposta dell’amministrazione? Per ora negativa. Ravenna vuole un parcheggio, strategico e irrinunciabile. Una vicenda come tante, con un finale come tanti. Il problema, però, non è il democratico confronto socio-politico tra cittadini e sindaco: il problema è quanto ancora oggi vengano sottovalutate le piccole azioni, e questi casi ne sono la cartina tornasole.
Cosa mai potrà cambiare per la qualità dell’aria ravennate un parcheggino in più o in meno (o meglio, una fetta di verde in più o in meno)? Avanti con le ruspe. Solo che la nostra regione ha 348 comuni: trecentoquarantotto comuni che applicano lo stesso ragionamento. Per il parcheggino, per la lottizzazione residenziale, per quella industriale, per il centro commerciale, per la variante che allarga l’anello urbano e urbanizzabile e per quell’altra cagata che “ormai avevamo detto di sì e anche se adesso siamo pentiti non ci si può più fare niente”. E poi c’è la Regione, con la sua Cispadana e tante altre meraviglie, gli agricoltori con le centrali a biomasse, Trenitalia con la Tav, eccetera, eccetera, eccetera.
Poi guardi la pianura dalle colline e ti accorgi che – toh! – c’è una spessa coltre grigia sulle teste di tutti, poco diversa da quella che si vede nelle fotografie che ci arrivano da Pechino. Di chi è la colpa? Non del mio parcheggio, non della mia strada, non del mio centro commerciale (c’è anche chi, a scanso di equivoci, calcola il bacino di utenza in minuti d’auto).
D’altronde abbiamo bisogno di terremoti, alluvioni, siccità e guerre mondiali per fare (sempre quando è tardi) l’associazione corretta tra causa ed effetto. I cittadini si scannano per quegli otto inceneritori in croce che ci sono in regione: ma come cambierebbe la nostra vita se ogni volta che scegliamo di fare dieci chilometri con l’auto per comprare due pomodori, un paio di mutande, una custodia colorata per il telefonino, ci ricordassimo che contribuiamo attivamente all’incremento dei rischi tumorali?
Patrizia Gentilini (copio dal biglietto da visita) è medico chirurgo specialista in oncologia ed ematologia. Qui c’è una sua breve biografia. Qui, uno dei suoi interventi più conosciuti. E qui di seguito un’intervista che purtroppo non dice nulla di nuovo su uno stile di vita sempre più estraneo al benessere.