Stagione stragista 1993/1994, intoppo nell’atto finale, ai calci di rigore. “Il telecomando all’Olimpico non funzionò”. Strage mancata dopo i colpi in casa a Capaci (Falcone) e Via D’Amelio (Borsellino) e le trasferte corsare a Via Fauro (Roma), Via dei Georgofili (Firenze), Via Palestro (Milano). Prima delle bombe in Chiesa a San Giorgio al Velabro e fuori la Basilica di San Giovanni in Laterano.
L’ultima svolta nelle indagini della Procura di Caltanissetta, rimanda alle deposizioni di Gaspare Spatuzza, pentito di Cosa Nostra: la summa teologia nella trattativa tra Stato e mafia era una strage allo stadio, un botto alla talebana per una carneficina di carabinieri e tifosi, orrore esplosivo di cinquanta chili di tondini di ferro dal diametro di un centimetro, letali tra divise, blindati, sciarpe e bandiere laziali. Contro tutto e tutti per rivendicare l’abolizione dell’articolo 41-bis, rigorosamente in pay per view, fuori onda come diretta di un calcio da ferire al cuore su Tele + (all’epoca, unica piattaforma prima di Stream e Sky).
Era il 31 Ottobre 1993, all’Olimpico c’è Lazio-Udinese. Biancocelesti con Dino Zoff in panchina, friulani sconfitti dalle reti di Winter e Signori, è la decima del girone d’andata di Serie A, stagione scudetto numero 14 del Milan di Berlusconi, poi penta campione d’Europa. “Era già tutto pronto per l’attentato, ma il telecomando all’Olimpico non funzionò” – racconta Spatuzza ai magistrati di Torino nel processo contro il Senatore Dell’Utri – “Ci trovavamo sulla collinetta di Monte Mario. Benigno provò a dare impulso con il telecomando ma non successe nulla. Intanto i carabinieri si stavano allontanando. A quel punto dissero di lasciar stare e l’attentato era fallito. Lasciammo stare l’auto e ritornammo a Palermo”.
Luca Tescaroli, già Pubblico Ministero nel processo per la strage di Capaci, ora Sostituto Procuratore a Roma e autore di un libro sul delitto ‘annunciato’ di Giovanni Falcone con cui ha vinto il Premio Paolo Borsellino, sostiene che “l’obiettivo in quel caso era di colpire soprattutto i carabinieri e di uccidere il più possibile. L’attentato non va a buon fine solo per il malfunzionamento del telecomando. Sarebbe stata la strage più tremenda: l’autobomba doveva esplodere di domenica, al termine della partita di calcio. Venne piazzata nel punto di concentramento degli appartenenti dell’Arma di servizio allo stadio, in occasione dell’incontro di calcio Lazio-Udinese”.
L’ordigno era stato piazzato all’interno del complesso del Foro Italico, lungo Viale dei Gladiatori che conduce ai cancelli di Tribuna Monte Mario e Curva Sud, a pochi passi dall’ex Aula Bunker dei processi alla Banda della Magliana, per l’attentato al Papa e contro la colonna romana delle Brigate Rosse per rapimento e uccisione di Aldo Moro.
“Un amico mi ha tradito”, sfogandosi in lacrime rivelò Borsellino, poco prima di saltare in aria. L’identikit del traditore porta ad un “esperto e anziano carabiniere”, sostengono oggi gli inquirenti nisseni, parlando di un pezzo grosso della stessa famiglia di quei militari che 19 anni fa erano in pattuglia allo Stadio Olimpico. Cavie con i tifosi.
Misteri d’Italia, enigmi all’italiana tra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni, col calcio sullo sfondo, a far da cornice. Tra una bomba e il boato di un goal. Un po’ di pallone non guasta mai.