Filippo Alberto Rapisarda, l’amico del vecchio capo dei capi, Stefano Bontade, interruppe il suo discorso e, rivolgendosi al giovane cronista, chiese: “Ma lei conosce il dottor Dell’Utri?”. Subito dopo il discusso finanziere siciliano, con alle spalle una fedina penale alta qualche centimetro e una latitanza in Venezuela trascorsa alla corte dei boss Caruana-Cuntrera, si mise a urlare quasi a squarciagola: “Marcellino, Marcellino, Marcellino”. Fu così che Dell’Utri, versione 1989, entrò nella grande sala riunioni da una porticina nascosta tra gli stucchi. Guardò il giornalista e tendendogli la mano disse: “Io la leggo sempre, lei scrive molto bene. Ma sa… l’importante non è solo come si scrive. È importante soprattutto cosa si scrive”.
Ecco se si vuol raccontare davvero chi è Marcello Dell’Utri e la sua quasi infallibile capacità di avere rapporti con le persone sbagliate nel momento sbagliato, si può benissimo partire da qui. Dal palazzo di Rapisarda in via Chiaravalle a Milano, che Dell’Utri riprende a frequentare a partire dal 1988, dopo averci lavorato e vissuto sul finire degli anni Settanta, quando per quasi quattro anni si era allontanato da Silvio Berlusconi.
Un ritorno strano il suo. Ambiguo e carico di misteri, come è stata ambigua e carica di misteri la sua vita, destinata a farlo incappare, come testimone o indagato, in inchieste giudiziarie di ogni tipo: dalle stragi, alla P4, dalla corruzione, ai furbetti del quartierino, dalla frode fiscale, alla mafia e alla ‘ndrangheta. A fargli vestire, al di là dell’esito dei processi, i panni dell’uomo nero della Seconda Repubblica.
Dell’Utri torna a calcare i pavimenti di via Chiaravalle che, secondo i testimoni, erano stati calpestati da uomini d’onore del calibro di Ugo Martello, Pippo Bono, Vittorio Mangano e, forse, Vito Ciancimino, pochi mesi dopo un esplosivo interrogatorio di Rapisarda. Un lungo verbale del luglio del 1987 in cui il finanziere, in quel momento accusato di bancarotta e mafia (sarà poi prosciolto), sostiene di averlo assunto nelle sue aziende nel 1978, dietro i pressanti consigli di Bontade, del costruttore mafioso Mimmo Teresi e di un loro parente acquisito, Gaetano Cinà, il proprietario di una piccola lavanderia palermitana. “Era molto difficile dire di no a Cinà” ricorda davanti a un magistrato Rapisarda, che poi aggiunge un carico da novanta. Dice di aver un giorno incontrato per caso Bontade e Teresi in piazza Castello a Milano. I due boss, afferma, gli avrebbero domandato un consiglio: “Berlusconi ci ha chiesto 20 miliardi di lire per diventare soci nelle sue televisioni. Secondo te è un buon affare?”.
Dell’Utri non presenta denuncia per calunnia. Incassa, tace e dopo anni di cattivi rapporti, fa la pace con il suo accusatore. Torna a frequentarlo, mentre sua moglie, Miranda Ratti, tiene a battesimo una figlia di Rapisarda. Nel 1992 a chi gli chiederà il perché di questo singolare atteggiamento, risponderà citando un proverbio siciliano: “Non si può tirare un sasso a ogni cane che abbaia”.
Smussare, mediare, alzare la voce solo quando è strettamente necessario, usare spesso frasi e detti della tradizione palermitana, è del resto una caratteristica di Dell’Utri. Così nel 1991, eccolo mentre dice al senatore repubblicano Vincenzo Garraffa, deciso a non versare una grossa somma in nero a Publitalia: “Abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Poche parole a cui seguirà un incontro tra Garraffa e un boss trapanese che chiede al parlamentare lumi sui problemi insorti “con l’amico Marcello”. Cinque anni dopo ancora una frase destinata, nel suo piccolo, a diventare celebre. Dell’Utri è appena stato ascoltato per 17 ore dalla procura di Palermo che lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei suoi problemi è il legame antico con il boss Mangano, in quel momento detenuto al 41 bis. Ma lui affronta i giornalisti con piglio sicuro: “Mangano? Se fosse libero ci prenderei un caffè”. Poi quando Piero Chiambretti gli chiede “esiste la mafia?”, sorride: “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”.
Insomma quando è in pubblico Dell’Utri dà l’impressione di fare di tutto per mostrarsi a proprio agio nei panni nei dell’uomo nero. E in privato addirittura raddoppia. Nel 2007, mentre il suo processo a Palermo è in corso, intercettando due uomini legati alla cosca Piromalli Molè i carabinieri scoprono che parlano con Dell’Utri, chiedendo aiuti per gli affari e promettendo voti. Intanto l’ex big boss della Banca di Lodi, Gianpiero Fiorani, racconta di avergli versato 100.000 in contanti, attraverso un altro senatore, per ottenere appoggi per la sua banca. Mentre la sorella di un capomafia siciliano latitante in Sud Africa gli telefona proponendogli un incontro. Dell’Utri non si nega. Ha una buona parola per tutti. E continua a far politica e business. Che poi per lui sono una cosa sola. Così nel 2009 di nuovo i carabinieri fotografano una riunione di lavoro. Intorno a un tavolo ci sono lui, il faccendiere Flavio Carboni e due esponenti dell’organizzazione poi ribattezzata P4: Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Con loro si discute di soldi e di giustizia. Ci sono appalti legati all’energia eolica da concludere e, secondo, l’accusa nomine al Csm da pilotare, giudici della Corte costituzionale e di Cassazione, da avvicinare.
Perché la linea della palma, come diceva Leonardo Sciascia, sale di un metro all’anno. Ormai ha superato abbondantemente Roma. E Dell’Utri, lo sa. Sciascia lo ha letto. Lui infatti è un uomo colto. Sul fatto.
Il Fatto Quotidiano, 10 Marzo 2012
Peter Gomez
Direttore de ilfattoquotidiano.it e scrittore
Giustizia & Impunità - 10 Marzo 2012
Dell’Utri,
sua onnipresenza
Filippo Alberto Rapisarda, l’amico del vecchio capo dei capi, Stefano Bontade, interruppe il suo discorso e, rivolgendosi al giovane cronista, chiese: “Ma lei conosce il dottor Dell’Utri?”. Subito dopo il discusso finanziere siciliano, con alle spalle una fedina penale alta qualche centimetro e una latitanza in Venezuela trascorsa alla corte dei boss Caruana-Cuntrera, si mise a urlare quasi a squarciagola: “Marcellino, Marcellino, Marcellino”. Fu così che Dell’Utri, versione 1989, entrò nella grande sala riunioni da una porticina nascosta tra gli stucchi. Guardò il giornalista e tendendogli la mano disse: “Io la leggo sempre, lei scrive molto bene. Ma sa… l’importante non è solo come si scrive. È importante soprattutto cosa si scrive”.
Ecco se si vuol raccontare davvero chi è Marcello Dell’Utri e la sua quasi infallibile capacità di avere rapporti con le persone sbagliate nel momento sbagliato, si può benissimo partire da qui. Dal palazzo di Rapisarda in via Chiaravalle a Milano, che Dell’Utri riprende a frequentare a partire dal 1988, dopo averci lavorato e vissuto sul finire degli anni Settanta, quando per quasi quattro anni si era allontanato da Silvio Berlusconi.
Un ritorno strano il suo. Ambiguo e carico di misteri, come è stata ambigua e carica di misteri la sua vita, destinata a farlo incappare, come testimone o indagato, in inchieste giudiziarie di ogni tipo: dalle stragi, alla P4, dalla corruzione, ai furbetti del quartierino, dalla frode fiscale, alla mafia e alla ‘ndrangheta. A fargli vestire, al di là dell’esito dei processi, i panni dell’uomo nero della Seconda Repubblica.
Dell’Utri torna a calcare i pavimenti di via Chiaravalle che, secondo i testimoni, erano stati calpestati da uomini d’onore del calibro di Ugo Martello, Pippo Bono, Vittorio Mangano e, forse, Vito Ciancimino, pochi mesi dopo un esplosivo interrogatorio di Rapisarda. Un lungo verbale del luglio del 1987 in cui il finanziere, in quel momento accusato di bancarotta e mafia (sarà poi prosciolto), sostiene di averlo assunto nelle sue aziende nel 1978, dietro i pressanti consigli di Bontade, del costruttore mafioso Mimmo Teresi e di un loro parente acquisito, Gaetano Cinà, il proprietario di una piccola lavanderia palermitana. “Era molto difficile dire di no a Cinà” ricorda davanti a un magistrato Rapisarda, che poi aggiunge un carico da novanta. Dice di aver un giorno incontrato per caso Bontade e Teresi in piazza Castello a Milano. I due boss, afferma, gli avrebbero domandato un consiglio: “Berlusconi ci ha chiesto 20 miliardi di lire per diventare soci nelle sue televisioni. Secondo te è un buon affare?”.
Dell’Utri non presenta denuncia per calunnia. Incassa, tace e dopo anni di cattivi rapporti, fa la pace con il suo accusatore. Torna a frequentarlo, mentre sua moglie, Miranda Ratti, tiene a battesimo una figlia di Rapisarda. Nel 1992 a chi gli chiederà il perché di questo singolare atteggiamento, risponderà citando un proverbio siciliano: “Non si può tirare un sasso a ogni cane che abbaia”.
Smussare, mediare, alzare la voce solo quando è strettamente necessario, usare spesso frasi e detti della tradizione palermitana, è del resto una caratteristica di Dell’Utri. Così nel 1991, eccolo mentre dice al senatore repubblicano Vincenzo Garraffa, deciso a non versare una grossa somma in nero a Publitalia: “Abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Poche parole a cui seguirà un incontro tra Garraffa e un boss trapanese che chiede al parlamentare lumi sui problemi insorti “con l’amico Marcello”. Cinque anni dopo ancora una frase destinata, nel suo piccolo, a diventare celebre. Dell’Utri è appena stato ascoltato per 17 ore dalla procura di Palermo che lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei suoi problemi è il legame antico con il boss Mangano, in quel momento detenuto al 41 bis. Ma lui affronta i giornalisti con piglio sicuro: “Mangano? Se fosse libero ci prenderei un caffè”. Poi quando Piero Chiambretti gli chiede “esiste la mafia?”, sorride: “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”.
Insomma quando è in pubblico Dell’Utri dà l’impressione di fare di tutto per mostrarsi a proprio agio nei panni nei dell’uomo nero. E in privato addirittura raddoppia. Nel 2007, mentre il suo processo a Palermo è in corso, intercettando due uomini legati alla cosca Piromalli Molè i carabinieri scoprono che parlano con Dell’Utri, chiedendo aiuti per gli affari e promettendo voti. Intanto l’ex big boss della Banca di Lodi, Gianpiero Fiorani, racconta di avergli versato 100.000 in contanti, attraverso un altro senatore, per ottenere appoggi per la sua banca. Mentre la sorella di un capomafia siciliano latitante in Sud Africa gli telefona proponendogli un incontro. Dell’Utri non si nega. Ha una buona parola per tutti. E continua a far politica e business. Che poi per lui sono una cosa sola. Così nel 2009 di nuovo i carabinieri fotografano una riunione di lavoro. Intorno a un tavolo ci sono lui, il faccendiere Flavio Carboni e due esponenti dell’organizzazione poi ribattezzata P4: Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Con loro si discute di soldi e di giustizia. Ci sono appalti legati all’energia eolica da concludere e, secondo, l’accusa nomine al Csm da pilotare, giudici della Corte costituzionale e di Cassazione, da avvicinare.
Perché la linea della palma, come diceva Leonardo Sciascia, sale di un metro all’anno. Ormai ha superato abbondantemente Roma. E Dell’Utri, lo sa. Sciascia lo ha letto. Lui infatti è un uomo colto. Sul fatto.
Il Fatto Quotidiano, 10 Marzo 2012
MANI PULITE 25 ANNI DOPO
di Gianni Barbacetto ,Marco Travaglio ,Peter Gomez 12€ AcquistaArticolo Precedente
Dell’Utri, annullamento
e rischi collaterali
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Due pesi e due marò
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Il Papa “ha riposato bene”. “Dimissioni? Sono speculazioni”. Le condizioni mediche: “Non è fuori pericolo, il vero rischio è la sepsi”
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".