C’è un documento, un decreto di sospensione dal servizio, che ha aperto un giallo nell’inchiesta della procura di Bologna sui quattro poliziotti dell’ufficio volanti arrestati lunedì scorso con l’accusa di aver rapinato per almeno due volte stranieri fermati per controlli. Si tratta di una fuga di carte che probabilmente avrebbe reso noto a uno degli indagati l’imminente sospensione e quindi l’arresto.

Intanto il gip Alberto Ziroldi ha deciso di lasciare in carcere gli arrestati: l’assistente capo Francesco Pace, 39 anni, e i due agenti scelti Alessandro Pellicciotta, 30 anni, e Valentino Andreani di 29, tutti in servizio sulle volanti. Il quarto poliziotto coinvolto, l’assistente capo Giovanni Neretti, 40 anni, di fronte all’ordinanza aveva accusato un malore ed è stato trasferito all’ospedale Sant’Orsola per accertamenti per essere poi ricoverato in terapia intensiva. Secondo il gip sussiste ancora il pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato. I tre che si trovano al carcere Dozza hanno comunque deciso di rinunciare alle prerogative di status militare, e non verranno trasferiti nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

Intanto il procuratore aggiunto Valter Giovannini e il sostituto Manuela Cavallo stanno valutando altre due denunce per rapina contro poliziotti non ancora identificati. Sarebbero avvenute sempre tra ottobre e novembre dello scorso anno e al momento sono due i fascicoli aperti dai pm a carico di ignoti.

La “talpa” e il decreto di sospensione non protocollato. Ma in questa vicenda di “divise sporche”, si allunga anche l’ombra della “talpa”. Giovedì scorso gli investigatori hanno acquisito agli atti la copia di uno dei decreti di sospensione dal servizio notificati ai poliziotti sotto indagine il giorno dell’arresto, quello di Alessandro Pellicciotta. Questo decreto viene redatto, una volta emessa l’ordinanza di custodia cautelare, dall’ufficio personale della questura, che è alla caserma Smiraglia di via Bovi Campeggi. E da qui portato nell’ufficio del questore in persona o dal suo vicario, che lo firma. La notifica agli interessati avviene dopo l’esecuzione dell’ordinanza, altrimenti questi capirebbero che li stanno per arrestare.

Ma una copia era stata ritrovata nella disponibilità di un non appartenente a forze di polizia e inoltre non era firmata, un dettaglio che fa capire che si tratta di una copia sfuggita al circuito regolare prima che arrivasse alla firma del questore, Vincenzo Stingone. L’avvocato Luigi Saffioti, che tutela tre poliziotti, ha dichiarato però di aver prodotto nell’interrogatorio di garanzia il decreto di sospensione dal servizio non firmato: “Ho esibito un documento fotocopiato dove non si vedeva la firma, ma avevo anche l’originale, dove c’è la firma. E l’ho prodotto contestualmente. E tutto questo è stato messo agli atti”, ha spiegato Saffioti.

Una semplice fotocopia venuta male? Giallo risolto? Nient’affatto. Nel documento in mano alla procura e che Saffioti dichiara di aver prodotto, oltre alla firma manca un altro elemento: il numero di protocollo. Nel documento sottoscritto dal questore il numero è il 133 e la firma è ben visibile; nella presunta fotocopia, invece, mancano entrambi gli elementi. Il numero di protocollo viene sempre scritto a mano, e la mancanza di quei tre numeri fa supporre che il foglio sia uscito dall’ufficio personale non ancora protocollato. Il sospetto degli inquirenti è che si tratti di una copia “clandestina” arrivata indebitamente all’arrestato. Per questo è partita una serie di accertamenti per scoprire quale percorso potesse avere fatto la copia. Gli inquirenti, infatti, non possono chiederlo all’avvocato, tutelato dal segreto professionale che lo vincola al suo assistito. Diversa invece la posizione di chi avesse passato le carte, per il quale si configurerebbe un comportamento che ha rilevanza penale (rivelazione di atti coperti da segreto).

I versamenti in contanti: “Soldi degli straordinari, avevo cambiato gli assegni”. Inoltre dagli accertamenti sui loro conti correnti bancari è emersa una serie di piccoli versamenti in contanti protratti nel tempo. La guardia di finanza ha controllato i conti per un anno e mezzo, andando a ritroso dall’ottobre 2011, dove si colloca la prima delle due rapine a stranieri imputata a due dei quattro poliziotti sotto indagine. Sono così saltati fuori piccoli versamenti: Pellicciotta avrebbe versato un migliaio di euro, Andreani 2 mila euro, Pace 3 mila euro e Neretti 2500 euro. Gli inquirenti mirano ora a capire se queste somme (non riconducibili allo stipendio che viene accreditato direttamente in banca) possano essere ricondotte a entrate giustificabili o meno. Solo Andreani ha detto che quei versamenti sono soldi derivanti dagli straordinari, che vengono pagati in assegni. Il poliziotto li avrebbe infatti cambiati e, sempre secondo la sua versione, avrebbe depositato la somma corrispondente sul suo conto corrente. Pellicciotta e Pace, invece, hanno negato le operazioni bancarie, mentre Neretti non ha voluto chiarire.

La madre di un poliziotto: “mio figlio non partecipò, ha forse visto qualcosa”. Inoltre, nei giorni scorsi, la madre di uno dei quattro poliziotti avrebbe telefonato in questura per chiedere come fare per avere un colloquio col figlio. Molto agitata, la donna avrebbe poi chiesto altre informazioni che non le potevano però essere date e sfogandosi con un agente avrebbe affermato che il figlio le aveva raccomandato di non parlare al telefono perché temeva di essere coinvolto in questa storia, raccontata la prima volta a fine novembre dai giornali. La mamma del poliziotto avrebbe infine dichiarato che suo figlio non partecipò a quei fatti, aggiungendo però che forse aveva visto qualcosa. Frase quest’ultima che è ora al vaglio degli inquirenti.

Sentito in procura Migliano, ex poliziotto: “non so nulla, ho ricevuto solo delle confidenze”. Questa mattina, invece, è stato sentito per due ore in procura come persona informata sui fatti Eugenio Migliano, poliziotto da quarant’anni, in pensione da circa un mese. Migliano è stato convocato dai magistrati per le sue conversazioni con Pellicciotta prima dell’arresto. Fuori dal palazzo a vetro di piazza Trento Trieste ha preferito non parlare con i cronisti, cercando di non farsi riconoscere: “Io sono il signor Sondrio, non c’entro nulla”. E dopo l’insistenza dei giornalisti che conoscevano la sua fisionomia, ha detto: “siamo tutti simili, ma nessuno è identico”.

Migliano è entrato nella vicenda per i contatti con l’agente Pellicciotta prima che venisse arrestato. Il giovane agente considerava Migliano come un padre. Quest’ultimo avrebbe dichiarato davanti ai magistrati di non sapere nulla della vicenda e di aver ricevuto solo delle confidenze dal collega, perchè aveva paura di essere incastrato da spacciatori. Secondo Migliano, poi, il decreto di sospensione uscito grazie ad una manina dagli uffici della questura è semplicemente una fotocopia venuta male; così gli avrebbe detto l’avvocato Saffioti, amico di lunga data.

Intanto la procura continua a scandagliare gli spazi di ambiguità che circondano questa vicenda. Un muro di gomma che gli inquirenti stanno cercando di sovrastare, col massimo riserbo.

n.l.

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