Il risultato era atteso, vista la forte base conservatrice dello Stato. L’ex-governatore del Massachusetts in vantaggio con 445 delegati complessivi. Per conquistare la nomination bisogna toccare soglia 1.144
Rick Santorum ha vinto i caucuses repubblicani del Kansas. Al candidato dei conservatori è andato il 51% dei consensi. Mitt Romney ha ottenuto il 21%, Newt Gingrich il 14%. Si ferma al 12,5% Ron Paul, l’altro sfidante che con Santorum ha fatto nelle scorse settimane campagna in Kansas (mentre Romney e Gingrich, certi di non avere molte chances, praticamente non si sono fatti vedere nello Stato). A Santorum vanno 33 dei 40 delegati in palio. A Romney i restanti sette. L’ex-governatore del Massachusetts rimane in testa, con 445 delegati complessivi. Santorum arriva a 247. Per conquistare la nomination bisogna toccare soglia 1.144.
La vittoria di Santorum in Kansas, uno Stato con una base elettorale fortemente conservatrice, era attesa. Sapendo di essere ampiamente favorito, il candidato nei giorni scorsi aveva enfatizzato il significato della sfida. “Dobbiamo vincere in Kansas, e vincere alla grande”, aveva detto ripetutamente in una serie di comizi a Wichita, Topeka e Lenexa, un sobborgo di Kansas City. La sua strategia è del resto chiara. Dopo questo Stato dell’heartland, Santorum punta ad aggiudicarsi martedì Alabama e Mississippi (90 delegati complessivi in palio e un’alta percentuale di elettori evangelici). A questo punto, con una serie di vittorie importanti nel Sud e nel Midwest, il cuore del voto repubblicano, Santorum può legittimamente presentarsi davanti all’establishment repubblicano e chiedere di riconsiderare l’appoggio a Mitt Romney (“un politico di sostanza, ma non in grado di scaldare i cuori dei conservatori”, ha detto Haley Barbour, ex-governatore del Mississippi ed uno dei big del partito).
Fondamentale perché questa strategia funzioni è l’uscita di scena, il più presto possibile, di Newt Gingrich, che contende a Santorum i voti di religiosi, conservatori e Tea Party. “La campagna di Gingrich ha imboccato una via senza uscita”, ha detto mercoledì Stuart Roy, adviser politico di Santorum, chiedendo la fine della campagna dell’ex-speaker della Camera. Gingrich, sinora, ha negato qualsiasi pensiero di ritiro. “Voglio ribadire questa cosa una volta per tutte – ha detto ieri in un’intervista ad Associated Press -. Vada come vada, andremo alla convention di Tampa”. In realtà, un’aria di smobilitazione circonda ormai le sue uscite pubbliche. Giovedì mattina a Jackson, la capitale del Mississippi, un centinaio di persone ascoltava l’ex-speaker ripetere i temi forti della sua campagna – in primo luogo quello dell’auto-sufficienza energetica dell’America. Ma il tono era stanco, privo di convinzione, lontano dagli accenti graffianti e beffardi di qualche mese fa. R. C. Hammond, il portavoce di Gingrich, ha del resto spazzato il campo da ogni dubbio, spiegando che il suo candidato “ha bisogno di vincere in Alabama e Mississippi per restare in corsa”.
Un modo possibile per convincere Gingrich a farsi da parte potrebbe essere soprattutto uno: offrirgli il posto di vice in un eventuale ticket Santorum-Gingrich, da opporre all’Obama-Biden. Dell’ipotesi si è parlato durante il week-end a Houston, dove decine tra i più influenti uomini d’affari e leader conservatori d’America – tra questi, Bob Fischer, James Dobson, Rebecca Hagelin, Tim Lefever e Richard Viguerie – si sono riuniti per rimpinguare le casse di Santorum (raccolti 1,7 milioni di dollari) e mettere a punto le future strategie. E’ stato proprio Bob Fischer, un businessman del South Dakota, a raccontare ai giornalisti uno scenario possibile, e auspicato da Santorum. E cioè arrivare alla Convention di Tampa senza nessun candidato capace di raccogliere il sostegno di 1.144 delegati. E qui, a Tampa, scatenare la “caccia al delegato”, resa possibile dal fatto che alcuni Stati non impegnano i propri delegati a votare per un certo candidato a partire dal secondo round di voto.
Si tratterebbe della “convention apocalisse” di cui, per ora, tutti i leader del partito repubblicano non vogliono sentir parlare. Mentre a Houston i conservatori pensavano a come disarcionare Romney, a Washington la dirigenza repubblicana metteva a punto un piano per puntellare la candidatura di Romney. L’ipotesi, studiata dai leader di Camera e Senato, John Boehner e Mitch McConnell, è quella di coordinare i temi del candidato Romney con l’azione politica dei repubblicani. In agenda, attacchi continui alla sanità di Obama e alla sua gestione del debito pubblico, oltre a una valanga di proposte e progetti di legge, per contrastare l’affermazione di Obama che il Congresso “non abbia fatto nulla”. L’azione dei leader del GOP (‘Grand Old Party’, ovvero il partito repubblicano, ndr) continua però a trascurare un elemento. E cioè la scarsa presa sulla base del partito di Romney, “un candidato rispettato, ma che non entusiasma”, per usare le parole di Haley Barbour, ex governatore del Mississippi. I repubblicani di Washington continuano a sperare che la base ritrovi l’entusiasmo, una volta attribuita a Romney la nomination. Ma l’impressione, tra molti degli stessi repubblicani, per ora, è di una corsa rabbiosa, confusa, cattiva, senza gioia. “La peggior campagna repubblicana della mia vita”, l’ha chiamata l’ex-first lady Barbara Bush.