E’ un duro colpo al cuore economico del clan camorristico dei Mallardo quello inferto oggi dal Gico della Guardia di Finanza di Napoli: sono stati arrestati due “colletti bianchi” – appartenenti a una famiglia di commercianti – e sequestrati beni per 71 milioni di euro. In manette Domenico e Alfredo Aprovitola, padre e figlio, rispettivamente soprannominati “il collocatore” e “il commercialista”, accusati di concorso esterno in associazione camorristica e concorso in estorsione aggravata. Ma l’inchiesta, coordinata dalla Dda di Napoli, lambisce anche il mondo della politica. Un collaboratore di giustizia infatti parla diffusamente di presunti rapporti che Domenico Aprovitola avrebbe avuto con due esponenti del Pdl: il presidente della Provincia di Napoli e deputato Pdl appena riconfermato coordinatore provinciale del partito Luigi Cesaro, per il quale avrebbe fatto campagna elettorale, e con il consigliere regionale Michele Schiano, già coinvolto nell’inchiesta sulla società regionale per la sanità Soresa.
Secondo quanto emerge dall’inchiesta condotta dai pm della Dda Giovanni Conzo e Maria Cristina Ribeira, gli Aprovitola hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella gestione dei flussi economici del clan. Alfredo consentiva di alleggerire i bilanci della cosca dalle spese di mantenimento delle famiglie di affiliati detenuti o deceduti, ottenendo per parenti e mogli degli esponenti false assunzioni e conseguenti indennità di disoccupazione, soprattutto grazie al fatto di essere un ex funzionario dell’ufficio provinciale di collocamento della sezione di Giugliano. Le aziende venivano individuate e poi costrette ad accettare le assunzioni: per un periodo queste persone percepivano lo stipendio, ma senza lavorare, poi venivano licenziate ottenendo anche l’indennità di disoccupazione. Sempre per conto del clan, “il collocatore” riusciva ad imporre alle aziende anche l’assunzione di detenuti che, in questo modo, ottenevano gli arresti domiciliari.
Domenico Aprovitola, invece, gestiva le aziende del clan, intestate anche a prestanome, e le attività commerciali, tra cui figurano bar e hotel. Negli anni ’80 è stato anche assessore e consigliere a Giugliano. Ma non solo: il “commercialista” avrebbe aiutato il clan a imporre le forniture di calcestruzzo e caffè – quest’ultimo prodotto da un’azienda gestita dai nipoti del capoclan Feliciano Mallardo – a esercizi commerciali e alle imprese edili della zona. Per quanto riguarda i presunti rapporti con i politici, si fa riferimento alle rivelazioni di un pentito, Tommaso Froncillo, il quale afferma tra l’altro di aver sostenuto la campagna elettorale di Cesaro, parlamentare del Pdl e riconfermato ieri alla guida del coordinamento provinciale del partito.
“In passato – racconta il collaboratore – fu proprio Aprovitola a dirmi che riusciva ad ottenere buoni risultati nelle assunzioni proprio per i buoni rapporti che aveva con i sindaci che si erano succeduti alla guida del Comune di Giugliano. E si vantava di avere lo stesso tipo di rapporti anche con il sindaco del Comune di Qualiano, Michele Schiano, nonché, ultimamente, con Cesaro. Si trattava di rapporti economici in quanto Cesaro aveva in corso la realizzazione di insediamenti edilizi e si era accordato con Aprovitola affinché gli fornisse il calcestruzzo della Tecnocem. Domenico Aprovitola mi specificò che tra i vari investimenti immobiliari effettuati dal presidente della Provincia vi era anche quello relativo alla realizzazione di un complesso edilizio della nuova base Nato; egli non specificò la zona ma ne parlò precisando che la Tecnocem avrebbe fornito il calcestruzzo necessario”.
Ribatte Cesaro: “Non conosco questo pentito. Le dichiarazioni che leggo dalle agenzie sono assolutamente generiche e non hanno alcun fondamento. Sono a disposizione della magistratura, chiederò agli inquirenti di essere ascoltato al più presto per chiarire tutto ciò che riterranno opportuno”.