Per i giudici del processo in cui è stato condannato all'ergastolo il boss Tagliavia Forza Italia non fu mandante, ma è possibile "che un canale di interlocuzione si fosse aperto con quel nuovo partito o anche solo con alcuni esponenti di rilievo"
Una trattativa tra mafia e istituzioni “indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un ‘do ut des’. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia” e “l’obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno con Cosa nostra per far cessare la sequenza delle stragi”. Sono alcune delle motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Firenze ha condannato all’ergastolo, il 5 ottobre 2011, il boss del Brancaccio Francesco Tagliavia, nel processo per le stragi mafiose del 1993-94.Nell’iniziativa per avviare una trattativa “l’obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno con Cosa Nostra per far cessare la sequenza delle stragi”.
Forza Italia. Nella sentenza la corte d’assise specifica che “non ha trovato consistenza l’ipotesi secondo cui la nuova entità politica si sarebbe addirittura posta come mandante o ispiratrice delle stragi di mafia del 1993-1994”. La “nuova entità politica” di cui si era parlato nel processo era la nascente Forza Italia. Il fatto che Forza Italia non sia stata “mandante o ispiratrice delle stragi”, tuttavia, non esclude secondo i giudici “che una svolta nella direzione politica del Paese” arrivata con la nascita del nuovo partito, “fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino”.
Un’ipotesi che, scrivono ancora i giudici, “parimenti non rende impossibile che un canale di interlocuzione si fosse aperto con quel nuovo partito, o anche solo con alcuni suoi esponenti di rilievo”. Di certo, per gli stessi giudici, “appare sostenibile che le nuove prospettive avevano indotto a rinunciare al progetto di creare un partito di mafia sotto l’etichetta di ‘Sicilia libera”, la cui nascita è attestata dallo statuto acquisito agli atti del processo, sarebbe stato “capace di aggregare anche le potenti cosche dell’’ndrangheta calabrese”.
“Con Spatuzza la svolta investigativa”. Secondo i giudici la svolta investigativa sul processo al boss Tagliavia “è giunta a seguito della collaborazione di Spatuzza” che “ha fornito informazioni decisive – e non de relato come sostenuto dalla difesa dell’imputato”. E Spatuzza cosa dice, tra l’altro, che la corte d’assise di Firenze sottolinea? “Giuseppe Graviano mi comunica che avevamo chiuso tutto e avevamo ottenuto tutto quello che cercavamo e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa cosa e che non erano come quei quattro socialisti che un po’ ci avevano venduto”. “Mi menziona (Graviano, ndr) nello specifico la persona di Berlusconi, in cui gli dissi se era la persona di Canale 5 cui mi dice che c’è nel mezzo anche un nostro compaesano, Marcello Dell’Utri”. Giuseppe Graviano, prosegue la sentenza citando Spatuzza, “mi dice che l’attentato contro i carabinieri si deve fare perché con questo gli dobbiamo dare il colpo di grazia”. Si tratta del fallito attentato allo stadio Olimpico. A cosa sarebbe servito? “Meglio che ci portiamo dietro un po’ di morti così si danno una smossa – avrebbe detto Graviano a Spatuzza – Chi si deve muovere, si muove”. Alla domanda su quale fosse secondo Graviano la parte che interloquiva con la mafia in questa supposta trattativa – sono ancora i giudici che scrivono – Spatuzza testualmente rispondeva: “Ci sono questi due nomi che mi sono stati riferiti, da Berlusconi e da Dell’Utri, quindi a questo punto sono loro gli interlocutori. Io so che ci siamo messi attraverso queste persone il Paese nelle mani”.
La corte è costretta a fare “l’esegesi delle parole un po’ anacolute di Spatuzza (probabilmente perché frutto di un lessico tipico del contesto mafioso)”: “Se ne deduce – continuano i giudici – che Graviano sarebbe stato raggiante perché aveva saggiato la cedevolezza di qualcuno del mondo politico-istituzionale che, impressionato dalla sequenza delle stragi, aveva mostrato di voler scendere a patti con Cosa Nostra, per cui occorreva sconvolgere ulteriormente il Paese ed i suoi governanti”. L’attentato ai carabinieri, all’Olimpico, avrebbe messo in discesa la trattativa
La mancata risposta di Graviano. La corte d’assise si sofferma anche sulla scelta del boss Giuseppe Graviano di non rispondere ai giudici che lo interrogavano. ”Sorprende” aggiungono. La corte scrive che i giudici intendevano interrogarlo “su Marcello Dell’Utri e su eventuali investimenti effettuati nel gruppo Fininvest e sul movimento denominato Sicilia Libera”. La scelta di Graviano, si legge, “può essere anche interpretata come una sorta di segnale obliquo lanciato all’esterno”.
“Ampie zone d’ombra nell’azione dello Stato” Le oltre 500 pagine della sentenza depositata dalla corte presieduta da Nicola Pisano, sono un atto di accusa anche alla gestione della giustizia, di chi doveva sapere, “soggetti di così spiccato profilo istituzionale”, scrivono riferendosi agli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso, entrambi chiamati come testimoni al processo. “Esce una quadro disarmante che proietta ampie zona d’ombra sull’azione dello Stato nella vicenda delle stragi”, scrivono i giudici sottolineando come queste “ombre” il processo di Firenze “non hanno potuto dipanare”. Mancino anche lo scorso mese di febbraio, chiamato al processo di Palermo per favoreggiamento alla mafia contro l’ex generale dei carabinieri Mario Mori, “ha negato di essere stato a conoscenza di una trattativa” che lui, comunque, avrebbe respinto. Il generale dei carabinieri e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino vengono richiamati spesso nelle motivazioni e, già durante il processo, il presidente della Corte aveva segnalato le differenze tra le dichiarazioni rese da Mancino e quelle del suo ex collega Claudio Martelli, ministro della Giustizia prima di Conso, che invece aveva detto di aver saputo dell’iniziativa del Ros.
“Assassinio di Borsellino variante anomala”. “L’uccisione del giudice Paolo Borsellino resta nelle motivazioni e nella tempistica una variante anomala” affermano i giudici nelle motivazioni della sentenza. “Se Borsellino avesse saputo o meno – aggiungono – dell’esistenza di una trattativa” tra Stato e mafia, “che in caso affermativo certamente avrebbe avversato in ogni modo perchè rappresentava la negazione stessa della battaglia condotta da sempre con Falcone, è circostanza probabile ma ancora oggi, a quel che consta, processualmente non accertata”. La trattativa tra Stato e mafia – proseguono le motivazioni – iniziò dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, ma si interruppe con l’attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Un rapporto che “si interruppe con l’attentato di via D’Amelio, forse per una sorta di ritirata di chi la conduceva (certamente il colonnello Mario Mori, forse i livelli superiori degli apparati istituzionali) di fronte al persistere del programma stragista, laddove la trattativa avrebbe richiesto quanto meno un armistizio”.
I pm: “Sponda politica sempre un pallino per la mafia”. Una serie di valutazioni che suggeriscono un’interpretazione al presidente della commissione parlamentare antimafia ed ex ministro degli Interni Giuseppe Pisanu: “Tra Stato e mafia non ci futrattativa – dice – ma piuttosto un’estorsione, come ci hanno spiegato oggi i giudici di Firenze: la mafia, nella stagione delle stragi sul continente, ha cercato di costringere lo Stato con la violenza”. La commissione oggi ha infatti ascoltato il procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, accompagnato dai sostituti Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, proprio sulle indagini della Procura sulla strage dei Georgofili. Durante l’audizione Crini ha escluso che ai mafiosi siano stati dati appoggi dalla destra eversiva o dalla massoneria, mentre il collega Nicolosi ha chiarito il presunto rapporto con le forze politiche: “La ricerca di una sponda politica è sempre stata un pallino di Cosa Nostra: dopo la fine della Prima Repubblica c’era stato uno sbandamento prima verso Sicilia Libera, la formazione alla quale Bagarella voleva dare l’appoggio dei clan, poi verso Forza Italia. Ma dalle nostre indagini non risulta un negoziatore specifico”.
I pm, che hanno precisato che nessun contributo alle indagini è stato offerto dai servizi, in commissione hanno dichiarato che l’obiettivo di Cosa Nostra di ottenere benefici per i boss detenuti era solo la “parte minore della trattativa con lo Stato” e che “la revoca del 41bis era indifferente” nella decisione di Graviano di proseguire nella stagione delle stragi. Nicolosi ha ricordato che “al Dap c’era la certezza assoluta che molti 41bis sarebbero stati revocati, la notte del 19 luglio ’92, perchè erano stati dati a cani e porci, a tappeto”.