Illustrazione di Marilena Nardi

Se l’Italia fosse la Spagna, le strade delle nostre città sarebbero invase dai cobrador del frac, i riscossori in frac, inviati dall’omonima agenzia privata specializzata in crediti difficili che ha inventato un originale sistema di riscossione che nella crisi è diventato un business di tutto rispetto con più di un milione e 200mila pratiche chiuse. La ricetta è semplice e si basa sul forte senso dell’onore spagnolo: il riscossore, in frac o, nelle sue evoluzioni, travestito da Zorro, da pantera rosa, da monaco o da scozzese avvicina il debitore in un luogo pubblico e gli chiede a gran voce il motivo del mancato pagamento inseguendolo anche per 24 ore di fila. In casi estremi si arriva alla pubblicazione della morosità sui giornali o alla comunicazione della vergogna ad amici e parenti. Il successo è garantito e il cobrador incassa la metà della riscossione.

Ma l’Italia non è la Spagna. Primo perché i profili legali di una strategia simile nel nostro Paese sono discutibili; secondo perché una delle categorie più colpite dai ritardi nei pagamenti, quella dei liberi professionisti che a livello comunitario nel 2011 ha sofferto della più alta percentuale di perdita su crediti (4,5 per cento rispetto ad una media del 2,7 per cento e in in forte peggioramento sul 2010), è molto restia a qualsiasi forma di riscossione dei crediti. “Il tema è molto delicato – spiega al Fatto Quotidiano un consulente che preferisce restare anonimo – perché si tratta di scegliere tra l’incasso comunque incerto e il rischio di perdere un cliente magari prestigioso e, proprio per questo, fonte di altri contratti. Ora se mi pagano a 180 giorni festeggio e l’unica forma di tutela è la clausola sugli interessi legali legati ai ritardi, che dalle prime avvisaglie della crisi, nel 2008, viene esplicitata in tutti i contratti”. Il riferimento è al decreto legislativo del 2002 che recependo una direttiva comunitaria impone il pagamento degli interessi ai creditori nella misura del tasso Bce aumentato di sette punti percentuali, per un totale che attualmente è pari all’otto per cento.

Il punto però è che spesso è lo stesso creditore-consulente a non avvalersi dei suoi diritti e, anzi, ad accontentarsi di una parte del credito sotto la minaccia del rischio fallimento del cliente, che renderebbe ancora più difficile se non impossibile, ma sicuramente onerosa, la riscossione. E, numeri alla mano, il rischio non è così peregrino se si pensa che soltanto a Milano il Tribunale fallimentare nel 2012 si è già pronunciato su oltre 200 procedure concorsuali, decretando il fallimento dell’impresa in 195 casi, 21 dei quali nella prima settimana di marzo.

Molto probabile che tra queste si annidino fornitori che sono rimasti strozzati tra le difficoltà di accesso ai finanziamenti bancari e la mancata riscossione dei crediti. Gli ultimi dati della multinazionale del recupero crediti Intrum Justitia evidenziano per tutta l’Europa un ammontare delle perdite sui crediti di 312 miliardi di euro (+2,7 per cento sul 2010), con l’Italia che si è posizionata tra i Paesi ad alto rischio dietro a Spagna e Ungheria a loro volta superate dai rischiosissimi Grecia, Portogallo, Cipro e Repubblica Ceca. L’Italia è in testa alla classifica dei ritardi con ben 124 giorni medi contro i 23 della virtuosa Finlandia e i 52 della media europea. Dato che nel caso dei rapporti tra imprese, cioè le forniture, si attesta intorno ai 103 giorni, solo 7 in meno della Grecia, mentre la perdita media sui crediti nel nostro Paese l’anno scorso si è aggirata intorno al 2,6 per cento del fatturato per un controvalore di 40,88 miliardi. La situazione, poi, non va migliorando, se il 53 per cento delle aziende prevede un aumento del rischio. Del resto la strategia dilatoria del gruppo Marcegaglia non è un unicum nazionale tanto da avvicinare almeno su un fronte il presidente di Confindustria e l’ad della Fiat Sergio Marchionne, i cui fornitori italiani giustificano alcune scelte sindacalmente discutibili riferendo di attese sui pagamenti dal Lingotto vicine ai 200 giorni, come riferiscono dalla Fiom, mentre il bilancio 2011 di Fiat spa indica in 16,4 miliardi i debiti commerciali globali del gruppo.

Tutto lavoro, quindi, per i riscossori del credito, che in Italia sono oltre 1250, e che già nel momento clou della prima fase della crisi, tra il 2008 e il 2009, avevano registrato una crescita dei ricavi del 19 per cento avvicinandosi a 500 milioni. Quanto ai loro clienti, secondo i dati dell’associazione di categoria, l’Unirec, a inizio 2011 il 51,6 per cento delle pratiche proveniva da utilities e società di telecomunicazioni che sono sempre più in difficoltà per le bollette non pagate.

da Il Fatto Quotidiano dell’11 marzo 2012

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