A scrivere è una donna di 32 anni che si è rivolta al Fatto Quotidiano per raccontare la sua storia di donna "molto qualificata", ma priva non solo di un impiego, ma anche di una prospettiva di vita per il futuro
SECONDA azienda, contratto a tempo determinato, 1100 euro al mese, assicurazione qualità. Lavoro effettivo: controllare l’incontrollabile e mettere firme su fogli, firme che sarebbero servite a scaricare la responsabilità su di me se e quando fosse successo qualcosa. Ricatti continui: “Tu non sei nella posizione di dire di no”.
Mio padre è morto e io mi sono ammalata di psoriasi. Difficile continuare a lavorare in una azienda chimica. Insegno chimica nelle scuole superiori ora, precaria da 5 anni, in attesa dell’abilitazione. Ho insegnato anche in centri che ti preparano agli esami universitari: 10 euro lorde all’ora . Le donne delle pulizie (con tutto il rispetto) prendono più soldi. Mi sono informata e ho scoperto che biologi, chimici puri, chimici industriali, biotecnologi, tutti possono insegnare matematica alle medie, io no. Ho scoperto che i biologi insegnano biologia ma anche chimica nei licei, io non posso insegnare biologia. Ho scoperto che ora i biologi insegneranno le chimiche tecniche nei licei delle scienze applicate ma io, laureata in chimica, non lo potrò più fare. Ho una laurea considerata importante che viene presa per i fondelli dalle graduatorie di insegnamento che stanno riformando per farle diventare ancora più assurde. Mi sento derisa e presa in giro. Io sono esausta, ho 32 anni e sono incastrata a casa di mia madre senza potermene andare perché non posso affittare casa senza sapere dove lavorerò e se lavorerò il mese prossimo, senza sapere se la potrò pagare.
Non posso avere una vita mia, una famiglia mia, non posso sposarmi né tanto meno posso avere dei bambini, perché non si può essere cosi folli da mettere al mondo un bambino senza un lavoro stabile. Non posso nemmeno comprare un frigorifero a rate; non me lo fanno il finanziamento, non ho un contratto a tempo indeterminato, figuriamoci un mutuo o un prestito.
HO UNA FORMA di psoriasi che non mi permette di svolgere un normale lavoro da chimica a causa dei prodotti con cui verrei a contatto. Una laurea buttata, una laurea sudata di cui non me faccio niente e pare che ora non potrò più nemmeno insegnare visto che il miraggio di un posto si allontana per i tagli e per le assurde riforme senza senso delle classi di concorso. Ora che mi ero anche iscritta ad un corso in Canada (10 settimane) per ottenere il livello C1 di inglese e poter sperare nell’immissione in ruolo, corso in cui ho impegnato i miei pochissimi risparmi, invece di mettere via i soldi per me.
Io sono esausta e ho finito le idee. Lo chiedo a voi: cosa devo fare per poter vivere? A me va bene anche mettere l’Infasil sugli scaffali alla Bennet, ma sono troppo qualificata, non mi assumono. Ho già provato a vivere all’estero ma sono tornata in Italia perché mi mancava il mio paese, volevo vivere qui dove sono nata, ma il mio paese mi ha tradito e mi ha tolto la possibilità di avere una vita normale. Come me ce ne sono tante di persone, vi prego, ridatemi la speranza di poter avere una vita. Io non sono libera, non posso scegliere di fare dei sacrifici per costruire un futuro perché per me sarebbero già un lusso.
Non ho più la speranza che le cose migliorino, vivo nella consapevolezza che peggioreranno e mi inquieta vedere che le persone che stanno decidendo della mia vita, nonostante abbiano sulle spalle il peso della devastazione di almeno una generazione, continuano imperterrite a fare tutto quello che ci ha portato qui, dimenticandosi il principio dei vasi comunicanti: se io affogo, l’acqua prima o poi arriva anche da te. Un gruppo su Facebook dice: “L’unica soluzione è iniziare a sparare”. Io sono troppo stanca anche per questo e se mai sparerò un colpo sarà autoinflitto. Ma qualcuno potrebbe leggere in quella frase l’unica reale soluzione e forse non ha nemmeno tutti i torti.
Con immensa tristezza,
un’italiana.
Marcella
La lettera è firmata con nome e cognome ma abbiamo scelto di non pubblicarlo per intero per la delicatezza dell’argomento trattato.
da Il Fatto Quotidiano dell’11 marzo 2012