Bradley Manning, il soldato accusato di avere rivelato dati riservati a Wikileaks, sarebbe stato sottoposto dagli Stati Uniti a un trattamento detentivo che ha violato la convenzione internazionale contro la tortura.
E’ quanto emerge dal rapporto speciale dell’Onu “sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti”. Manning è stato tenuto in isolamento 23 ore al giorno per 11 mesi, dal suo arresto a Baghdad il 29 maggio 2010, fino al 20 aprile 2011. L’inviato Onu ha chiesto più volte al governo di incontrarlo privatamente, ma il permesso è stato sempre negato. La conversazione, infatti, sarebbe comunque stata monitorata.
Secondo Méndez, che ha stilato il rapporto al termine di un’inchiesta durata 14 mesi, “imporre condizioni di detenzione seriamente punitive su chi non è stato riconosciuto colpevole di alcun crimine è una violazione del diritto all’integrità fisica e psicologica e della presunzione di innocenza”. Accuse che riemergeranno davanti alla corte marziale preposta alla valutazione dei 22 capi di imputazione contro Manning, tra cui quello di “avere aiutato il nemico” degli States. Ovvero Julian Assange.
E in un’intervista al Guardian Méndez ribadisce che “11 mesi in condizione di isolamento costituiscono come minimo un trattamento crudele, inumano e degradante in violazione dell’articolo 16 della convenzione contro la tortura. Se gli effetti in termini di dolore e sofferenze inflitte a Manning fossero più gravi, potrebbero costituire tortura”. Che non è mai potuta essere nè confermata nè smentita, visto che il Pentagono non ha mai concesso un faccia a faccia riservato tra il soldato e l’inviato delle Nazioni Unite.