Gli Stati Uniti stanno per lanciare sul mercato delle guerre un carro armato “verde”, Gcv costruito dalla Bae System. Leggero, veloce, un lampo se confrontato ai pachidermi che ciabattano in Afghanistan. Pesa “appena 63 tonnellate. Diesel ibrido che fabbrica elettricità e può sorprendere silenziosamente il nemico con 12 militari a bordo”. Costa tre volte più dei tank normali, sacrificio necessario per contenere le emissioni che “avvelenano la natura accelerando un cambio climatico dalle conseguenze imprevedibili”. Insomma, per far respirare il mondo gli Usa, contrari all’impegno di Kyoto, cambiamo i carri armati. Non si sa se ridere o piangere.
Si può scegliere fra taglie diverse: modello mignon, modello extra large, dai 12 a 17 milioni di dollari, ma il vantaggio di bombardare senza spargere polveri sottili dovrebbe consolare ambientalisti e spettatori delle guerre televisive che arrivano col Tg sul piatto della cena: nuvole di gas scaricate dai carri con i cannoni in fiamme. Appetito addio. Finalmente si può bombardare senza inquinare. Nessun governo Nato potrà rinunciare alla modernizzazione delle forze armate, un po’ per mantenere la dignità tecnica degli apparati di difesa evitando di ammorbare l’aria delle popolazioni sotto tiro; un po’ perché le armi made in Usa sono parte del nostro patrimonio culturale. Non possiamo perdere il passo anche se l’aggiornamento stringe la cinghia al mondo libero angosciato dal ritorno alla povertà.
Facendo bene i conti, le risorse si possono trovare. Stiamo risparmiando sui cacciabombardieri F35, 131 prenotati ridotti a 100 per evitare altri tagli alle pensioni: 2 miliardi e qualche milione restano in cassa. Ministri e generali sanno che nel cuore dei pensionati batte l’orgoglio della patria. 100 carri armati ecologici a guardia delle frontiere è l’eredità pulita che i nonni possono lasciare ai nipoti. Senza contare i guadagni assicurati ai paesi dagli arsenali forniti come si deve. L’Italia non ha bombe nucleari: è solo deposito periferico delle testate Usa. Rinunciando all’effetto Hiroshima, rinunciamo ai benefici di chi patteggia la rinuncia con le potenze che ne controllano il monopolio. Corea del Nord, per esempio: si arrende alla proposta di Washington, moratoria nucleare in cambio di 240 mila tonnellate di alimenti.
Non so quanti derelitti italiani a 500 euro al mese cominciano a invidiare gli stracci della dittatura rossa. Quando nel 2003 Gheddafi apre le porte agli ispettori impegnati nel fermare le armi di distruzione di massa, spariscono gli embarghi e Tripoli entra nel paradiso commerciale delle nazioni privilegiate, mentre piovono investimenti sul petrolio. Solo Israele non permette controlli ufficiali, ma non perde l’amicizia delle nazioni amiche. Hanno ragione i ragazzi quando ci rinfacciano il senso di colpa dell’essere sopravissuti all’ambiguità paralizzando la ragione: mai del tutto colpevoli, mai con l’innocenza dell’indignarsi per le bombe al fosforo che hanno bruciato 32 mila persone a Fallujah nell’Iraq che doveva essere “disinfettato” dai sunniti di Saddam.
Un medico iracheno cresciuto a Londra torna nella sua città con un’organizzazione umanitaria e inciampa nei corpi bruciati dalla polvere proibita. Nessuno deve aprire bocca. Il dottore parla e viene espulso. E l’informazione si adegua: silenzio di ferro su umiliazioni e degradazioni, verità e perfino bugie. La chiamano riservatezza. Ecco l’allegria della notizia che cancella lo smog da ogni guerra. Non per guastare la festa, ma chi è sotto le bombe del carro armato verde cosa dovrebbe festeggiare?
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Il Fatto Quotidiano, 13 Marzo 2012